A Bosch de Roe i resti di un italiano: «Sarà sepolto a Pian di Salesei»

Alcune ipotesi fatte da un esperto di Grande Guerra: la mostrina è di quelle usate dal nostro esercito nel 15-18



 Possono essere di un soldato italiano i resti ritrovati a Bosch de Roe l’altro giorno dai carabinieri forestali di Caprile, allertati da un escursionista che si trovava nella zona.

La mostrina è sicuramente italiana, come la zona in cui è stato ritrovato il pezzo di scheletro con tanto di teschio.

Valerio Troi, responsabile del museo del Pordoi e membro dell’associazione storico culturale della Grande guerra, dice che sicuramente si tratta di un soldato italiano. «Tra i resti, infatti, è possibile osservare la presenza di una mostrina che, pur essendo realizzata a suo tempo con inchiostro indelebile, è stata compromessa ed è quindi illeggibile, ma la forma della mostrina era quella dell’esercito italiano» spiega il sindaco Leandro Grones. Sindaco che domani parlerà con il magistrato di turno per attivare l’iter per la sepoltura che avverrà nel cimitero militare di Pian dei Salesei.

Valerio Troi non è sicuro al cento per cento: «Ho visto la foto della mostrina che mi ha mandato il sindaco» spiega l’esperto, «quella dovrebbe essere italiana. Del resto anche l’area del ritrovamento era italiana».

Lo studioso suggerisce poi una possibile lettura del ritrovamento effettuato nella zona di Seren, in questa stessa settimana: in questa occasione sono state rinvenute solo ossa di gambe di sette persone diverse, sicuramente soldati dal momento che nelle vicinanze c’erano anche i resti di scarponi e suole.

Troi ricorda il metodo dei risarcimenti impiegati dallo Stato subito dopo la prima guerra mondiale, quindi dal 1919 al 1925: chi trovava corpi di soldati veniva pagato.

«Dal 1919 al 1920» spiega Troi «lo Stato dava una indennità a chi portava il cadavere intero. Ma dal 1920 al 1925 hanno cambiato il sistema e bastava portare la testa per avere lo stesso importo di un cadavere: chiunque prendesse un teschio otteneva gli stessi soldi».

Una interpretazione, certo, non la sicurezza assoluta quella che Troi vuole manifestare in proposito, dal momento che trova anche lui strano che non siano stati sepolti non solo i teschi, ma i busti interi delle vittime.

A pensare invece all’ipotesi di una deflagrazione in un accampamento di soldati austriaci, è Enrico Rech, il feltrino che ha rinvenuto prima alcuni pezzi di scarpone, poi suole chiodate e infine le ossa, sempre a Seren.

Rech compie molte spedizioni con il metal detector: «Questo tipo di ricerche sono autorizzate dalla Regione, spiega, perché sono finalizzate ad uno scopo storico e collezionistico. Nella zona sotto Valpore il metal detector ha iniziato a suonare perché i pezzi di scarponi nel terreno erano chiodati. Mi era già successa una esperienza simile: ho trovato addirittura un soldato italiano, ma in quel caso il corpo era intero. In questo caso no: magari a seguito di un bombardamento hanno recuperato pezzi di soldati e li hanno messi in quel pianoro. Non sono stati sepolti alla rinfusa: non è una fossa comune. Non avrei mai immaginato di trovare tutti questi pezzi: due scarponi e le ossa, ma poi quando si è scavato sul pianoro, un metro e mezzo per quattro, erano allineate tutte le gambe, arrivavano fino al femore, ma non tutte».

I parenti di Rech che hanno vissuto in quel periodo di guerra hanno tramandato alcuni ricordi in famiglia: in Valle di Seren, nella zona del rifugio Bocchette, ci sono ancora i segni dei bombardamenti: all’attacco dei primi tornanti della strada, alla fine della valle, ci sono degli obici usati come paracarri; si può camminare nelle trincee invece, lungo il confine tra le province, e sotto il Sacrario è tutta una conca e un fosso provocati dalle bombe, crinali addolciti dai secoli.

«Ecco, vedere quegli obici e pensare che una bestia del genere arriva su un accampamento, si fa presto a fare trenta morti in un colpo solo. E quelle ossa sono state trovate a poca distanza da una galleria che faceva da ricovero: li hanno sepolti vicino a una specie di accampamento».

Una passione che dura ormai da quindici anni, quella di Rech: «Faccio parte anche di una associazione storico culturale “Il Piave 15-18”, di San Donà di Piave che conta parecchi soci: si è battuta per far riconoscere il famoso patentino e per poter andare alla ricerca di reperti».

Anche venerdì, nella zona, una nuova battuta: «Ma non c’è più niente: è da escludere che vi siano ancora resti umani in quel posto». —


 

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