A Caorera si mantiene viva l’arte antica del distillare

QUERO VAS
Custodire un territorio significa non solo proteggere tradizioni e saperi, ma anche strumenti e macchinari. Come la distilleria “Le Crode” di Caorera, piccola frazione nel comune di Quero-Vas, impianto storico e unico in provincia di Belluno rilevato da Vincenzo Agostini all’età di 53 anni dopo aver fatto per tanti anni il libero professionista con una laurea in giurisprudenza appesa al muro, oltre che essersi impegnato nella politica del capoluogo per una decina di anni.
Originario da una famiglia contadina di Colle Santa Lucia, come molte di quelle che hanno presidiato il Bellunese nel secolo scorso, a un tratto ha sentito pulsare le sue radici e ha deciso di avviarsi in questa nuova impresa perché «avevo non dico tanto il bisogno della terra, quanto la necessità di tornare un po’ indietro pur essendo già molto avanti e di riprendere contatto con la mia infanzia, pur reputandomi fortunato per aver studiato e senza rinnegare nulla di quel che avevo fatto fino ad allora».
Agostini ha 60 anni, vive a Belluno da trent’anni e ha due figli che al momento stanno percorrendo una strada perpendicolare alla sua, visto che «la vita è un bouquet di scelte che si fanno ogni giorno».
Tanto a riprendere le redini di una vecchia stalla di famiglia ci ha già pensato Milchhof Agostini, che da qualche anno gestisce un’azienda agricola a Selva di Cadore, a due passi dal Giau.
Come è arrivato a Le Crode? «Un po’ per caso nel 2013 e me ne sono subito innamorato. Fin dalle prime parole con il proprietario ho colto il suo desiderio di cedere la proprietà, così senza averlo mai davvero immaginato mi sono ritrovato a 53 anni a fare l’artigiano e il mastro distillatore. Ho amato subito anche la posizione marginale di questo luogo, lontano dai flussi turistici tipici di altre zone della provincia ma non per questo meno ricco di storie straordinarie. Così ho deciso di fare il passo e ho affiancato il vecchio titolare per un paio di anni per fare il garzone di bottega e rubargli tutti i segreti del mestiere. Lui mi viene ancora a trovare ogni tanto, visto che abita qui vicino».
La sua è una storia di continuità e discontinuità. «Ho ripreso in mano la produzione tradizionale cercando però di integrarla con altri tipi di vinacce provenienti soprattutto dalle macro aree del Trevigiano e del Bellunese ma cercando sempre di allargare un po’ di più la gamma di prodotti. Ad oggi vendo sette tipi di grappe a partire soprattutto da Prosecco, Raboso, Merlot e Cabernet. Ma la vera grappa bellunese è la “Nina”, fatta nell’unica distilleria bellunese con vinacce bellunesi (dell’azienda De Bacco di Feltre, ndr) di tipo Pavana, un vitigno storico di quella zona, ma anche Gata, una materia prima che rende il prodotto davvero molto apprezzato anche dagli stessi bellunesi, molti dei quali si sono ricreduti pensando che la licenza poetica della “sgnapa da troi” fosse la vera grappa da bere. In tempi più recenti ho distillato anche Recantina, un vitigno che ha la stessa storia della Pavana e che ha rischiato di scomparire dai colli asolani, nelle zone tra Monfumo e Castelcucco. Ogni anno produciamo dalle 7 alle 8 mila bottiglie».
Da dove arrivano i suoi clienti? «Da molte parti d’Italia ma anche da Austria, Svizzera e Germania. Faccio vendita in azienda perché molti ne approfittano per venire a visitare l’impianto a tre caldaie a vapore in discontinuo – come il suo stile – datato 1908, una particolarità assoluta delle nostre zone e che richiede una grande cura nell’uso. D’altronde fare la grappa è un equilibrio tra lavorazione, prodotto e processo. Vendo anche su spedizione: i prodotti de Le Crode si possono trovare in molte enoteche della provincia e a breve, grazie a Cortina Bevande, riuscirò a radicarmi meglio anche nell’Alto Bellunese. Ho sempre cercato di avere un rapporto diretto senza intermediari, vendendo direttamente al cliente o al ristoratore. A volte capita anche di fare spedizioni all’estero».
Come ha influito l’emergenza Coronavirus? «Per me è stato un periodo molto complicato perché tutta la ristorazione era ferma e la gente, non potendo girare, non veniva nemmeno qui a comprare i miei prodotti. Questo mi ha permesso di incrementare le vendite online e anche se ho subito una bella battuta d’arresto, ho ripreso a lavorare molto bene, quindi vediamo come andrà. Sicuramente è stato un periodo non facile per il nostro settore».
Cosa pensa della definizione di “custode del territorio”? «Mi piace, a patto che non sia intesa in senso conservativo: il patrimonio va preservato ma anche innovato con passione e determinazione, per cercare quei miglioramenti che servono a rendere il prodotto migliore e il lavoro più soddisfacente». Un viaggio di andata e ritorno. —
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi