A Lorenzago la Via Crucis dedicata a Giovanni Paolo II

Le stazioni sono lungo la stradina che porta alla tenuta di Mirabello, dove papa Wojtyla soggiornò durante alcune vacanze estive. L'artista Vico Calabrò ha raffigurato Ali Agca nei panni del buon ladrone. E adesso in Cadore si ipotizza un santuario    

LORENZAGO. Ieri la Via Crucis. Domani un santuario? Karol Wojtyla è già beato e potrebbe davvero meritarselo. «So che la gente di Lorenzago lo desidererebbe», azzarda monsignor Paolo Magnani, vescovo emerito di Treviso, che più di una volta ha accompagnato Giovanni Paolo II in Cadore. Un piccolo, quasi simbolico santuario «proprio quassù a Mirabello», insiste Magnani.

«Questa non è nostra proprietà, ma della Diocesi di Treviso», ribatte Marco D’Ambros, che coopera con il parroco, don Sergio De Martin. Magnani lo guarda quasi per rassicurarlo: «Questo non è un problema». Quando il sindaco Mario Tremonti arriva con i fedeli della Via Crucis, ha un sobbalzo all’idea di Magnani: «Perché no?», s’illumina.

Sono le 19.15 e le campane di Lorenzago suono a distesa. «Esattamente come 25 anni fa, quando Wojtyla sbarcò dal’elicottero, in un prato qui sotto. Un evento grandioso, indimenticabile», commenta il sindaco, al termine della Via Crucis. Ma chi è quel buon ladrone che campeggia sulla roce, accanto al Cristo moribondo? Chi altro se non Ali Agca poteva essere scelto da Vico Calabrò, su indicazione di chi i “buoni ladroni” li conosce meglio di ogni altro, Aldo Bertelle, direttore della Comunità “Villa San Francesco” di Facen. «Papa Wojtyla ha perdonato o no chi gli ha sparato? Bene, quello è il suo posto, accanto alla croce», osserva, arguto, Calabrò.

Monsignor Magnani sorride con comprensione. È stato proprio lui a inaugurare ieri sera la Via Crucis lungo la stradina interna che da Lorenzago porta alla tenuta di Mirabello. Accanto a lui il parroco don Sergio, che ha predisposto le stazioni con un linguaggio puntualissimo, e il sindaco Tremonti, che è tutto un ricordo per gli anni dei papi a Lorenzago.

«Sono ricordi che restano indelebili nella memoria di una persona», ammette Tremonti, mentre Magnani fa memoria con affetto dei primi incontri cadorini con Giovanni Paolo II. «Era di una cordialità unica, poneva l’interlocutore a suo agio, gli parlava con una semplicità naturale. Al tempo stesso manifestava una spiritualità straordinaria, da vero uomo di Dio». Magnani ne ha ricordato i tratti anche a conclusione dell’itinerario religioso. Itinerario seguito con commozione dai numerosi presenti, come alla stazione che ricorda la sepoltura di Cristo. Ci sono due uomini che lo depongono nella tomba, uno è Wojtyla, l’altro è colui che il Papa chiamava «il mio parroco», monsignor Sesto Da Pra.

Calabrò ha voluto personalizzare la Via Crucis scegliendo come cireneo un boscaiolo di Lorenzago, e come la donna che asciuga il volto di Cristo un’anziana del paese. E’ un’umanità sofferente quella che l’affreschista cadorino riproduce nelle stazioni del più doloroso dei percorsi classici. Vengono ricordati gli impoveriti dalla crisi, le famiglie con problemi, i giovani disperati, la fame e le guerre che affliggono il mondo. Passo dopo passo, lungo l’impervia salita, la preghiere si moltiplicano. E si concludono proprio là dove Magnani suggerisce la costruzione di un piccolo santuario. «Wojtyla è stato un grande papa».

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