Abm, lettera a Mattarella «Lo Stato chieda scusa»

«A distanza di cinquant’anni dalla tragedia, è arrivato il momento che lo Stato svizzero e quello italiano presentino le loro scuse ufficiali ai familiari delle vittime e ai superstiti». A dirlo a...

«A distanza di cinquant’anni dalla tragedia, è arrivato il momento che lo Stato svizzero e quello italiano presentino le loro scuse ufficiali ai familiari delle vittime e ai superstiti». A dirlo a gran voce domenica mattina, nel corso della cerimonia di commemorazione ai piedi della diga di Mattmark, è stato Claudio Micheloni, senatore eletto all’estero. Ma il suo pensiero ha rispecchiato quello di tutti i presenti, circa mille persone - tra cui una delegazione composta da oltre 150 bellunesi - che hanno voluto ricordare i tragici fatti avvenuti il 30 agosto del 1965, quando 88 operai, di cui 56 italiani e 17 bellunesi, morirono sotto seicentomila metri cubi di ghiaccio franati sul campo di lavoro.

L’intenzione dell’Abm, associazione nata proprio a seguito della tragedia di Mattmark, è di scrivere al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, «non solo per ringraziarlo per il messaggio inviato e letto, durante la cerimonia, dall’ambasciatore di Berna», spiega Oscar De Bona, presidente Abm, «ma anche per chiedergli che lo Stato italiano faccia un ulteriore passo porgendo le proprie scuse ai familiari delle vittime e impedendo che disastri come quelli di Mattmark e del Vajont si verifichino ancora». Dal punto di vista giudiziario, infatti, Svizzera e Italia non diedero la giusta assistenza ai familiari delle vittime.

Il campo di lavoro travolto era stato piazzato proprio sotto a un ghiacciaio la cui instabilità era nota. Ma il processo che si aprì dopo la tragedia, e il successivo ricorso da parte delle famiglie, si chiusero con l’assoluzione dei 17 imputati (accusati di omicidio “per negligenza”). E i familiari delle vittime furono costretti a pagare metà delle spese processuali.

«Quando desiderio di denaro e profitto a tutti i costi superano i limiti della natura, allora accadono tragedie come quelle del Vajont e di Mattmark», ha detto Umberto Soccal, sindaco di Pieve d’Alpago che, in qualità di presidente del Consorzio Bim, ha parlato a nome di tutti i sindaci della provincia. «Ciò che si chiede sono risposte», ha sottolineato il sottosegretario Gianclaudio Bressa, in rappresentanza del Governo. «In questi giorni l’università di Ginevra ha pubblicato uno studio geo- storico su Mattmark. La tragedia contribuì a cambiare leggi, soprattutto in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, e l’atteggiamento degli svizzeri, nello specifico nei confronti degli immigrati. Non dimentichiamo che l’emigrazione, qualunque essa sia, è una “favola amara che divora”, come disse Dino Buzzati». Nicolas Voide, presidente del Gran Consiglio del Vallese, ha riconosciuto l’enorme contributo portato dagli italiani emigrati per lavoro in Svizzera. Lavoratori segnati profondamente dall’esperienza dell’emigrazione. Chi nel 1965 lavorava a Mattmark ricorda i fatti come se fossero accaduti ieri. E non ha dimenticato le dure condizioni di vita, a 2000 metri, con freddo e forte vento. Condizioni che accomunavano tutti i lavoratori, bellunesi e non, come ricordato nei canti regionali scelti dal Coro Monte Dolada. Nella zona della tragedia sono diverse le lapidi presenti: una scultura di Franco Fiabane, posta per il 40°, oltre a una croce nella zona dove c’erano le baracche. Da domenica c’è anche una nuova lapide, con le vittime ricordate in lingua italiana e tedesca.

Martina Reolon

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi