Addio a Monica, l’anima del rifugio Bosconero in Val di Zoldo

Gestiva la casera da 35 anni, fu la prima donna a entrare nel Cnsas zoldano. Il cordoglio degli amici e sui social

VAL DI ZOLDO. «Vola dove più alto vorrai volare». Gli amici l’hanno immaginata libera così Monica Campo Bagatin, l’anima della “casera Bosconero”, lassù in Valzoldana: «Ha preso su il suo zaino colmo delle esperienze di una vita generosa e ci ha lasciato, per salire su altre vette, quelle negate ai viventi della terra», scrive nel suo ricordo Stefano Talamini. «Ciao spirito libero del mondo» ricorda qualcun altro sui social.

Monica, 53 anni, stava male da qualche tempo e ieri s’è spenta nel letto dell’ospedale di Treviso, lasciando un vuoto ampio come il cielo che si vede proprio dal Bosconero, tra chi condivideva con lei l’essere umani in montagna.

Zoldana nel sangue, ha legato il credo di una vita, prima che il suo nome, alla montagna e al rifugio casera Bosconero: un paradiso che ha contribuito a lanciare fra le mete del turismo che predilige il fascino e la fatica. Un rifugio mai aggiunto nelle mappe delle Alte vie Dolomitiche, ma conosciutissimo da quanti finora hanno voluto godere della sua ricchezza ambientale e delle emozioni che suscita un solo arcobaleno fra le cime.

Monica gestiva da ben 35 anni quella casera che il Cai Val di Zoldo ha avuto in concessione dall’allora Comune non fuso di Forno. È stata lei a trasformarlo in una perla fra le cme, con progetti all’avanguardia anche nella salvaguardia ambientale, tanto che il Bosconero è uno dei pochi rifugi con fitodepurazione e selezione dei rifiuti per la produzione di biogas. Un progetto voluto da Comune, Cai e Fondazione Angelini e portato avanti anche attraverso l’Università di Padova.

«Mandava avanti il rifugio senza far pesare la sua situazione», sono le parole del sindaco Camillo De Pellegrin. «Il Bosconero è frutto della sua dedizione oltre che del Cai. Lì non ci sono teleferiche, gli approvvigionamenti di grandi scorte avvengono con l’elicottero, sono le forze umane a lavorare ed è un continuo andare avanti e indietro. Ora stiamo realizzando la strada, ma se è diventato quel che è diventato, è grazie alla tenacia e all’impegno di Monica, con il Cai che l’ha aiutata. Tra l’altro non è un rifugio che rientra in un’Alta via: lì ci devi voler andare e l’andarci era fondamentalmente dovuto all’atteggiamento che Monica aveva con gli ospiti: era la sua casa, aveva creato un suo angolo di paradiso trasmettendo questa cosa alle persone che salivano lassù. Lascia un grande vuoto soprattutto perchè Monica aveva un’aria di incanto, era una persona diversa dalle altre, aveva una sua magia».

Monica Campo Bagatin lascia un figlio, Nicola, i genitori, un fratello e i tanti amici che l’hanno conosciuta. Come il mondo del Soccorso alpino, nel quale lei era volontaria: la prima donna nel Cnsas dello Zoldano. «Non ho parole», dice Daniele Panciera, ex responsabile del Cnsas zoldano. «Ha sempre fatto parte del Cnsas. Lei era la montagna, il rifugio». «Ricordo solo l’intensità del suo sorriso» dice al telefono un laconico Fabio Rufus Bristot, con la voce rotta dall’emozione. Anche lui la ricorda sui social, con un colpo d’occhio sulle cime intorno al Bosconero. «Era una ragazza quando si prese l’onere di trasformare la vecchia casera abbandonata e mezza diroccata ai piedi del Bosconero in un rifugio alpino: lo fece con il coraggio e la speranza che la giovinezza infonde agevolmente nel cuore delle anime nobili. Negli anni il “suo” rifugio, il rifugio della “Monica del Bosconero”, è diventato un focolare, il luogo dove i cuori si riscaldavano al calore di un sorriso esuberante e di un’autentica passione per la montagna, di un’idea di rifugio “vero” ingentilito dal genio femminile per i dettagli, per l’accoglienza e per l’ascolto delle tante storie che in quel crocevia tra i monti trovavano ristoro e comprensione. Monica ci mancherà», sono le parole di Stefano Talamini. —

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