Addio alla mobilità di Invensys. Il futuro è un’incognita
BELLUNO. Tristezza, preoccupazione, incertezza e delusione per un futuro molto incerto. È un mix di sentimenti quello che provano i 165 ex dipendenti dell’Invensys, lo stabilimento metalmeccanico di Belluno che ha chiuso (è stato il primo) i battenti ad agosto 2013, dopo una storia “gloriosa”. I lavoratori da tre anni si trovano in mobilità, ma il 6 agosto l’ammortizzatore sociale, che li ha accompagnati in questi 36 mesi aiutandoli nel loro ménage familiare e sostenendoli quando il lavoro non arrivava, scadrà definitivamente. La preoccupazione è alle stelle. Anche perché oggi è difficile trovare un impiego. Solo qualche decina degli ex Invensys è riuscita a trovare un lavoro stabile: sono quelli assunti alla Phoenix in Alpago, l’azienda nata dalle ceneri dell’Invensys o qualche trentenne. Per chi sta tra i 45 ai 58 anni, restano lavori saltuari, contratti a termine o interinali, un po’ come capita per i loro figli.
«Sto facendo lavori socialmente utili», confessa Loredana che, a 53 anni e dopo 20 anni all’Invensys, si vergogna a raccontare questa verità. «È tutto quello che sono riuscita a trovare tramite il Centro per l’impiego e la Provincia. In questi anni ho provato a inviare curricula in tanti posti, ma nessuno mi ha risposto. Mi sono iscritta anche alle agenzie interinali, ma anche da lì niente».
Una situazione psicologicamente, oltre che economicamente, pesante. Un dramma che solo chi questa esperienza l’ha vissuta sulla propria pelle può conoscere. «Per gli altri è difficile anche solo immaginare cosa si prova a rimanere senza un impiego, a tornare, a 50 anni, ancora dipendenti dallo stipendio del marito o della moglie che hanno un posto sicuro. È umiliante. E l’umiliazione aumenta se si pensa che le prospettive per migliorare la propria condizione sono nulle».
Sì, perché, «già quando ci sono state le prime avvisaglie di chiusura dell’Invesys», continua Loredana, «mi ero rivolta alle agenzie interinali e mi avevano detto che alla mia età ero già vecchia».
«Come si vive in mobilità?», cerca di rispondere Loredana. «Dopo 20 anni con un posto fisso, resti spiazzata, ricevi metà stipendio e la vita cambia. Io ho famiglia e due figli e mi sono ben accorta del dimezzamento dello stipendio. Prima avevi una certezza, dopo non ti resta più niente. Il primo periodo è il più duro, ma quando cesserà la mobilità, tutto sarà ancora più pesante».
Lavori socialmente utili anche per Giuseppe, 58 anni, impiegato da due anni al Ced di Feltre. «Mi trovo benissimo, ma il 13 agosto finirà questa esperienza e per me non c’è speranza di assunzione visto che è un posto pubblico e c’è il blocco delle assunzioni. Dovrò inventarmi qualcosa da fare, in attesa dei tre anni che mi separano dalla pensione. Sto cercando impieghi anche con i voucher. Ho mandato curricula a destra e a manca, ma senza risposta. A dire la verità ho inviato due tipi di curricula: quello reale, con le mie esperienze come tecnico che costruiva e vendeva prototipi, e uno più scarno. La mia età non è appetibile per un’azienda», prosegue, «sia perché c’è la crisi, sia perché non c’è la volontà di investire sugli over 50enni. Anche i corsi di riqualificazione, che qualcuno doveva farci svolgere, si sono risolti in colloqui in cui ci dicevano di non perdere la speranza. Ma non ci è stato insegnato alcun lavoro. Eppure molti di noi potevano ancora imparare qualcosa di nuovo».
Tanti lavoratori che vogliono restare nell’anonimato, denunciano «il silenzio che ha fatto seguito la chiusura del nostro stabilimento. Un silenzio assordante della politica a tutti i livelli. Prima venivano alle fiaccolate, istituivano tavoli, poi, quando ci hanno messo in mobilità, non si è più visto nessuno».
«Lo sconforto è normale», dice Marino Svaluto Moreolo, 45 anni, ex rsu in Invensys. «In tre anni ho fatto lavori saltuari, di pochi mesi, il più lungo è stato di un anno. Chi ha famiglia deve dare fondo ai risparmi accantonati per l’università dei figli. Ora si cerca di ridurre le spese superflue o dilazionarle per arrivare a fine mese. In queste condizioni ti senti tagliato fuori da tutto, specie in un’età in cui vorresti essere al massimo, aver raggiunto l’apice della carriera o comunque una tranquillità economica. Per noi ogni giorno è un’incognita».
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