Addio Zanfron, fotoreporter dei bellunesi
BELLUNO. «Il cielo era sereno, eppure c’era tanta umidità. Dovetti azionare il tergicristallo perché pioveva acqua mista a terra». Bepi Zanfron è in viaggio. È la notte del 9 ottobre 1963. Mentre torna dalla lezione di tedesco, in piazza dei Martiri, tutti i lampioni si spengono. Intuisce che qualcosa deve essere successo. Telefona ai vigili del fuoco, gli dicono che si è rotta una tubatura e che ci sono tre o quattro morti, a Longarone.
Zanfron prende le macchine fotografiche, i rullini, sale in macchina. Non può immaginare quello che è appena successo, non può sapere che dal Toc si è staccata una frana di proporzioni enormi, che il materiale è piombato nel bacino artificiale e che l’acqua ha scavalcato la diga, devastando Longarone e tutti i paesi vicini. Lo vede, con i suoi occhi, quella stessa notte. Bepi Zanfron è stato il primo ad arrivare sui luoghi del disastro. Aveva 31 anni ma quell’esperienza lo segnò per il resto della sua vita.
Bepi Zanfron è stato il più attento e arguto documentatore dei principali fatti di cronaca accaduti in provincia negli anni. Da una decina d’anni aveva smesso di lavorare.
Bepi Zanfron se n’è andato nella notte fra martedì e mercoledì. Aveva 84 anni. La sua è la storia di un uomo che ha saputo raccontare con delicatezza, ma anche con profonda onestà e realismo, i fatti. Un dovere, per un fotoreporter, ma bisogna provare ad immaginare la realtà degli anni ’60 e ’70 per capire cosa doveva essere fare il fotografo per i quotidiani e le agenzie di stampa a quel tempo. «Papà aveva pellicole da dodici pose. Non poteva permettersi il lusso di fare dodici scatti uguali, come accade oggi che lavoriamo in digitale. Doveva fare uno scatto, spostarsi, pensare alla foto successiva, scattare di nuovo», ricorda il figlio Luca, che porta avanti l’attività di famiglia e lavora anche come fotoreporter.
Giuseppe Zanfron, per tutti Bepi, era nato a Villa di Villa (Mel) nel 1932. Penultimo di sei fratelli, da giovane si dedica allo sport. Poi arriva il periodo della naia. Fa il car a Bassano, poi lo trasferiscono a Belluno, alla caserma Tasso. È il 1950 e ha già al collo una macchina fotografica: «Una Comet Bencini», ricorda il figlio. Comincia a lavorare per un fotografo in viale Fantuzzi, nel 1954 rileva l’attività. Mentre lui si perfeziona nella tecnica di ripresa e nell’impiego dei materiali, la sorella Silvia manda avanti il negozio.
Si diploma in fotografia all’istituto Galilei di Milano, dal 1961 inizia a collaborare con i quotidiani: il Gazzettino, il Corriere della sera. L’anno successivo diventa corrispondente per l’Associated Press per il nord Italia. Il disastro del Vajon è imminente.
Bepi Zanfron conosce Tina Merlin, va con lei in sopralluogo sul monte Toc a fotografare una frana che si è staccata, prima di quella notte maledetta. È il primo ad arrivare nella piana travolta dall’ondata di acqua e fango. «Chi ha visto sa, chi non c’era non può immaginare», racconterà trentacinque anni più tardi, nel volume “Vajont, 9 ottobre 1963, cronaca di una catastrofe”. Zanfron racconta l’agghiacciante desolazione della piana cancellata, il dolore dei sopravvissuti e dei superstiti, l’infaticabile opera di aiuto dei soccorritori. Gli tocca l’ingrato compito di fotografare i cadaveri, per il riconoscimento. Quattrocento ritratti di volti sfigurati.
Con l’acqua avrà ancora a che fare, Zanfron. Passano tre anni dal Vajont e la provincia di Belluno vive l’incubo dell’alluvione. Interi paesi vengono sommersi, dall’Agordino al Cadore, California viene spazzata via. Anche qui morte, dolore, devastazione. «Si era fatto tutte le valli della provincia con la sua Seicento», ricorda ancora il figlio Luca.
Tre anni più tardi trasferisce il negozio in via Tasso dove l’attività si trova tutt’oggi, portata avanti da Luca (e per un periodo anche dall’altra figlia, Sara). Negli anni fotografa tutti i grandi fatti di cronaca (come il terremoto del Friuli, lo scioglimento della Brigata Cadore) e di sport. Il Giro d’Italia, che fa spesso tappa sulle Dolomiti. Le Universiadi del 1985. Le Olimpiadi di Lillehammer e Albertville, per seguire le imprese di Maurilio De Zolt, Sivio Fauner, Giuseppe Puliè e la squadra azzurra.
Nel 1999 il Comune di Belluno gli assegna il premio san Martino, nel 2008 ottiene un riconoscimento dal Comune di Longarone. Nel 2004 aveva ricevuto quello alla carriera dall’ordine dei giornalisti del Veneto.
Con la moglie Antonietta era andato a vivere a Castion, ed è nella chiesa del paese che si svolgeranno i funerali, domani alle 15.15. Stasera alle 18.30 sarà recitato un Rosario.
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