«Aggrappati a un’auto durante la scossa»
CORTINA. Sono rientrati dal Nepal martedì sera i componenti del trekking che accompagnava la spedizione di Marco Sala e degli altri alpinisti che avrebbero dovuto salire sulla cima del Lhotse a 8.516 metri.
Vincenzo Gaspari, di Cortina, e Roberto Paracone sono atterrati al Marco Polo di Venezia martedì pomeriggio ed in serata erano già nelle loro abitazioni. Ieri Gaspari, ancora provato dall'altitudine e dalla fatica, con poca voce e un po' d tosse ha raccontato la sua avventura.
«Io e Roberto eravamo già tornati a Kathmandu, scesi dal trekking che ci aveva portato a 5 mila metri di quota», spiega, «stavamo facendo degli acquisti. Avevo preso delle magliette da regalare ai nipoti e avevamo visto che c'era un negozietto dove alcune signore ricamavano i nomi sulle T-shirt. Così siamo entrati per farci fare il ricamo. All'improvviso tutto ha iniziato a tremare e siamo usciti di corsa in strada. La scossa è stata lunga e forte. Ci siamo appesi ad un'automobile parcheggiata in strada e siamo stati attenti a coprirci la testa. Cadevano infatti oggetti, insegne, e calcinacci. Finita la scossa tutti sono rientrati nei loro negozi e anche noi abbiamo seguito la signora dentro il localino, ci ha dato le magliette e siamo usciti. In quel momento, pur essendo a Kathmandu, noi non avevamo capito che fosse stata una tragedia immensa, con miglia di vittime. In strada dopo la scossa c'erano molte persone, tutti ovviamente agitati, perché era durata parecchio, ma non abbiamo visti feriti né cadaveri. Siamo tornati all'albergo e abbiamo visto che erano state messe alcune tende in giardino e che l'albergo era semi-deserto quindi ci è risultato difficile chiedere informazioni. Nel mentre è sopraggiunta la sera, abbiamo visto che alcuni dormivano nelle tende in giardino, ma le scosse erano terminate. Così con la pila siamo entrati al buio in stanza e abbiamo dormito in albergo. L'unica struttura che era crollata del tutto, nella zona dove eravamo noi, era l'albergo vicino al nostro, ma a parte qualche muretto crepato e qualche auto sfondata dai pali della luce non abbiamo visto quello che invece si vede dalla televisione».
«La domenica abbiamo girato per Kathmandu», racconta Gaspari, «ma noi evidentemente eravamo in un’area poco colpita e non ci siamo resi conto di nulla. Avevo sentito mia figlia da Cortina e non mi aveva detto della tragedia per non farmi agitare. Si è sincerata che stessi bene. Abbiamo incontrato alcuni nostri connazionali e ci hanno detto che al campo base dell'Everest c'era stata una slavina ma che Marco Sala e i nostri compagni erano in salvo alla Piramide. Domenica ci siamo accorti che qualcosa di grande era successo perché vedevamo pochissima gente e abbiamo dovuto fare un paio di chilometri per trovare da mangiare, ma non pensavamo a migliaia di morti. Abbiamo trovato una signora in un negozietto che ci ha venduto 4 pacchetti di biscotti e nessun altro. La sera siamo andati all'aeroporto che avremmo dovuto avere il volo di rientro e lì effettivamente c'era un delirio di gente. Siamo partiti il lunedì alle 12.30, dopo vari rinvii del volo, e ci hanno fatto atterrare in Qatar a Doha. La compagnia aerea ci ha ospitato in un albergo e poi martedì siamo ripartiti per Venezia. Solo martedì sera leggendo i giornali e guardando la tv abbiamo capito cosa effettivamente era successo».
Ieri intanto Marco Sala, Mario Vielmo, Annalisa Fioretti, Sebastiano Valentini e Claudio Tessarolo hanno lasciato la Piramide oltre 5 mila metri e hanno camminato fino a Pangboche 3980 metri. «Più si scende più si incontrano distruzioni». Questo l'unico messaggio che sono riusciti ad inviare.
Alessandra Segafreddo
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