Agordo, medico a processo, non curò il paziente
AGORDO. Il dottore non cura il paziente. Anzi, lo insulta, dandogli praticamente del parassita. Gli avrebbe detto: «Sei il classico esempio di sfruttamento del servizio, perché sei esente da spese. Se la Usl dovesse fare un calcolo del tuo costo, sarebbe in fallimento». Per il medico padovano Angelo Beccari la procura della Repubblica aveva chiesto il rinvio a giudizio per i reati di omissione di atti d’ufficio e di ingiuria. Il secondo reato è stato nel frattempo depenalizzato, tuttavia il processo ci sarà. L’imputato, che è difeso dall’avvocato veneziano Danesin, ha scelto di farsi giudicare con il rito abbreviato che sarà celebrato il 31 gennaio. Il paziente (G.R di Taibon) si è costituito parte civile con Mauro Gasperin e Sonia Sommacal.
L’8 luglio dell’anno scorso Beccari era di servizio al pronto soccorso dell’ospedale di Agordo, quando su suggerimento della guardia medica arriva il paziente G.R. che soffriva di dolori all’addome, probabilmente riconducibili a un’operazione di qualche giorno prima. Nel momento in cui ha visto il paziente, secondo l’accusa, il medico ha cominciato a dirgli che tutte le volte che lui era in pronto soccorso se lo trovava davanti. E poi la frase incriminata. Alla fine non ha nemmeno visitato il malato, invitandolo invece ad andarsene. Tutte frasi pronunciate di fronte a sanitari e amministrativi. Sempre più sofferente, l’agordino decide di farsi accompagnare dalla figlia al pronto soccorso del San Martino di Belluno, dove avvengono la visita e la rimozione di un certo numero di punti di sutura. Proprio quelli che gli erano stati applicati alla fine dell’intervento chirurgico. A Belluno dunque è stato trattato adeguatamente. Quando l’agordino è tornato in buona salute, ha denunciato Beccari sia per l’ingiuria che per l’omissione di atti d’ufficio aggravata.
Chiuse le indagini preliminari, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio del medico, che ha scelto un rito alternativo al dibattimento in aula. Non saranno ascoltati testimoni, ma tutto ruoterà intorno alle carte del pubblico ministero e, in caso di condanna, l’imputato avrà uno sconto di un terzo della pena prevista dal reato più grave che gli è stato contestato. Come anticipato, l’ingiuria è stata depenalizzata, dunque non ha più risvolti penali.
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