Agordo ricorda “Tama” Da Roit nel suo centenario

Grande alpinista, sindaco più amato della storia di Agordo e socialista carismatico. Luciani lo definì un galantuomo



«Anche in campo alpinistico, come in ogni campo dell’umano operare, gli arrampicatori sono legione ormai. Sono gli uomini a scarseggiare. Signori, abbiamo davanti a noi un uomo».

Così nel 1993 a Bergamo l’alpinista Armando Aste presentò il suo fraterno amico Armando “Tama” Da Roit all’assemblea dei delegati del Cai che lo avrebbe annoverato fra i suoi “soci onorari”, il più importante riconoscimento che l’associazione possa assegnare. A cent’anni dalla nascita del Tama, la definizione di Aste si ritrova nelle tracce che il grande signore della Civetta, il politico socialista, il più amato dei sindaci di Agordo (il primo di sinistra) ha lasciato col suo cammino nelle persone che lo hanno conosciuto e hanno fatto parte dell’affascinante cordata della sua vita iniziata l’11 novembre 1919 a La Valle Agordina (venne registrato all’anagrafe il giorno successivo).

«Guida cordate come un capitano la nave», scrisse di lui Tina Merlin sull’Unità. Ma la cordata non è soltanto quella che ha stretto con tanti alpinisti per scalare la parete sud della Busazza, il Bancón, la Terranova, la Punta Agordo, le Torri di Valgrande, Trieste e Venezia.

«Quella in cui – ricorda l’amico novantenne Oddone “Topo” Zasso – si è come fratelli, si è legati alla vita degli altri». Cordata è anche quella che lo ha unito alla moglie Olga Montagner con cui ha gestito dal 1949 al 1980 il rifugio Vazzoler in Civetta.

«Lui orfano di madre e con il padre fuoriuscito in Francia sotto il fascismo, lei pure orfana – dicono Carla e Ottilia, le due figlie portate bambine sulle cime – si incontrarono a Monteneve e coltivarono il culto della famiglia di cui parlò don Lino Mottes al funerale».

Cordata, ancora, è quella con cui ha guidato per quindici anni (1975-1990) il Comune di Agordo e per venticinque (1957-1982) la Sezione agordina del Cai che dal 2002 porta il suo nome. «Poté contare ed ebbe fiducia in bravissimi collaboratori», sottolineano sia Eugenio Bien, che gli succedette alla presidenza del Cai, che Corrado Cattadori in Comune dall’85 al ’90. Un leader naturale, il Tama («lo chiamavano così perché da giovane beveva sempre Tamarindo allungato con l’acqua», certifica Oddone Zasso). Un leader in possesso di un grande carisma, di doti di equilibrio e di mediazione. Ma soprattutto un uomo considerato unanimemente tutto d’un pezzo.

«Un giorno – ricorda Loris Santomaso, in consiglio comunale dal ’75 all’80 – venne il patriarca di Venezia, Albino Luciani, in visita alla Casa di soggiorno di Taibon. Nell’indicargli il sindaco Da Roit, un esponente della Dc locale disse con una battuta: “Questo è un po’ “revèrs”, alludendo alla militanza socialista”. “Da Roit – replicò Luciani – è un galantuomo”».

«Parola desueta oggi – gli fa eco Ermano De Col, già sindaco di Belluno, compagno di partito e amico – ma il Tama era proprio così: intellettualmente onesto, senza ambiguità, diretto. Oggi sarebbe fuori moda». In verità c’erano dei momenti in cui anche Da Roit cessava di essere quella persona «integerrima sul piano morale» che Franco Colleselli ha conosciuto in giunta comunale per tre legislature.

«Era il nostro compagno di giochi, il nostro socio, il nostro alleato nei piccoli imbrogli di casa – racconta Alessandra Fontana, con Claudia e Nicola una dei tre amati nipoti – nel gioco delle parti che costruivano con la nonna lui era la violazione delle regole che a noi permetteva di andarcene con le mani piene di caramelle e a lui di acquistare barattoli esagerati di Nutella». D’altronde lo aveva confidato a Roberto De Martin, presidente generale del Cai dal 1992 al 1998 che lo aveva proposto a socio onorario. «Fare il nonno è il mestiere più bello del mondo: finisco anche sotto i letti».

Lui che per un soffio nel 1954 (era stato scartato per le adenoidi) non aveva fatto parte della spedizione italiana al K2, «ma sarebbe potuto benissimo arrivare in cima, perché non aveva niente da invidiare ai Compagnoni e ai Lacedelli», è sicuro Eugenio Bien. Lui che con Facciotto, Zanvettor e Penasa aveva ridato slancio all’alpinismo agordino a cavallo tra gli anni ’40 e ’50, che con i francesi Georges Livanos, Robert Gabriel e Jean Couzy aveva compiuto imprese mirabili nel regno del sesto grado. Lui semplice falegname che alle comunali del 1980 aveva sconfitto i “pezzi da novanta” Leonardo Del Vecchio e Bruno Dai Prà (il finanziatore della Dc veneta).

Lui che dal 1980 al 1983 era stato senatore che dalla zona della stazione (dove abitava a Roma) arrivava a piedi in 20 minuti a Palazzo Madama alle 8 in punto con gli uscieri che si meravigliavano della inconsueta puntualità.

«La sera – ricorda il senatore Emilio Neri (Dc), – io avevo il mio gruppo con cui giocavamo a scopone, mentre Armando conduceva una vita più solitaria e riservata». Non era un uomo di tante parole il Tama, ma quando parlava lo ascoltavano. Era più propenso ad ascoltare gli altri e soprattutto la sua gente.

«Quante volte – dice Corrado Cattadori – l’ho trovato a girare le frazioni intento a sentire i problemi e a prendere appunti. I cittadini di Agordo vedevano in lui uno di loro». Anche per loro, come per Roberto De Martin, «il sigaro del Tama, tenuto nella bocca spenta, era il simbolo di una persona che riusciva a camminare insieme agli altri e non sopra agli altri». —

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