Agricoltura, a rischio il 50% delle stalle

La Provincia promuove un bando con i Fondi di confine. Confagricoltura e Coldiretti: «Dobbiamo investire sui giovani»
ANIMALI IN STALLA EPIDEMIA DI TUBERCOLOSI ALLE MUCCHE IN VAL DI RABBILa Tbc sta mettendo a dura prova gli allevamenti di bovini
ANIMALI IN STALLA EPIDEMIA DI TUBERCOLOSI ALLE MUCCHE IN VAL DI RABBILa Tbc sta mettendo a dura prova gli allevamenti di bovini

BELLUNO

Il settore zootecnico, che rappresenta oltre l’80% della produzione lorda vendibile dell’agricoltura bellunese, è in crisi. Un’azienda su due è addirittura a rischio chiusura. È impietoso l’approfondimento tecnico voluto dall’ente Provincia a corredo del progetto strategico per il sostegno all’agricoltura finanziato in gran parte dal Fondo dei comuni confinanti.

La relazione evidenzia che, soltanto nei primi sei mesi del 2016, sono state chiuse 24 stalle bellunesi. «Un dato», si legge, «che collima con la progressiva diminuzione della superficie coltivata. In base ai dati dei censimenti dell’agricoltura 1982-2010, la superficie agricola utilizzata in provincia si è ridotta complessivamente del -31,9% (con aree che registrano un -33,9%), il tiplo rispetto alla media regionale (-11,2%)». «La sofferenza del settore», si evidenzia nella relazione, «è documentata anche dal recente studio sul prezzo del latte redatto da Veneto Agricoltura e basato sulla consultazione dei bilanci aziendali delle cooperative disponibili in Camera di Commercio».

L’emergenza Covid

Anche nel Bellunese, l’emergenza sanitaria poi «ha significativamente inciso sulla già fragile dinamica economica delle settore, con grave riflesso sulle piccole latterie. La chiusura prolungata delle attività di bar e ristorazione, che rappresentano un importante mercato di destinazione per i prodotti lattiero-caseari, ha comportato una forte riduzione delle vendite, evidenziando ancor di più la necessità di efficientare la catena produttiva, migliorando la qualità dei prodotti e riducendo le sostanze di scarto come il siero», si legge nella relazione.

I punti deboli

Alla vetustà delle attrezzature – viene spiegato – si accompagna l’assenza di promozione della qualità produttiva, nonché l’assenza di formazione. Il settore presenta, infatti, una carenza di maestranze, legata a uno scarso rinnovo generazionale e una ridotta appetibilità lavorativa. Negli ultimi anni si sono modificate le dinamiche di consumo, per cui occorre aggiornare anche la produzione al fine di renderla più vicina al gradimento del consumatore, valorizzando nel contempo l’identità territoriale.

Le associazioni di categoria

«Sono 12 oggi le piccole latterie presenti in provincia», spiega Michele Nenz della direzione di Coldiretti. «Sono quelle di Camolino, di Tisoi, Sedico, Lentiai, Frontin, Sant’Antonio Tortal, Val Morel, Cansiglio, Vallata (Agordo), Livinallongo, Colle Santa Lucia e San Pietro di Cadore (Peralba): è importante che ci si muova per tutelarle. La crisi che registriamo nel comparto è legata anche al Covid, che ha creato molti problemi alle latterie che hanno visto il prezzo del latte calare e non hanno potuto vendere i loro prodotti a ristoranti o pasticcerie. La questione è che molto spesso i costi di produzione del latte sono maggiori rispetto ai guadagni. Questa è la situazione critica fotografata nei primi sei mesi dell’anno, in pieno Covid. Speriamo di poterci risollevare con l’estate».

Per Diego Donazzolo, presidente di Confagricoltura, «il settore soffre molto del ricambio generazionale. Per questo dico che è importante attivare politiche che aiutino l’attività zootecnica e le latterie. Ci sono comuni in cui non esiste più neanche una stalla, come in Val Zoldana, invece dovremmo averne almeno una per comune. Non si può pensare di incentivare i giovani ad aprire le stalle che costano dai 500 ai 600 mila euro con bandi e fondi da 25 mila euro. Serve tutelare le aree agricole e programmarne l’utilizzo, invece oggi il territorio è lasciato a se stesso». Necessario anche un riordino fondiario: «Non è più realistica una coltivazione su piccoli appezzamenti», sottolinea Donazzolo. «Anche questo può invogliare i giovani a investire sulla terra ed è un elemento su cui dobbiamo puntare congiuntamente alla necessità di non far scendere il prezzo del latte in montagna al di sotto dello 0,50 euro al litro. Ricordiamoci che fare agricoltura ed allevamento significa prendersi cura del territorio, cosa qui ormai dimenticata». —

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