Ai “Boschi del castagno” la natura è protagonista

Eugenio Frigherio e Isabella Rinaldi sono arrivati in Valmorel nel 2003 I due hanno messo in piedi un’azienda fondata su più rigidi principi dell’ecologia

LIMANA

Nessuno dei due è originario della provincia di Belluno, eppure la amano così tanto da aver deciso di mettervi su radici. Infatti Isabella Rinaldi è nata a Urbino 58 anni fa, Eugenio Frigerio a Cantù, in provincia di Como, 63. Laureati in scienze politiche e scienze dell’educazione lei, urbanistica lui, hanno incrociato la loro strada al termine degli studi, quando lui dopo aver studiato a Venezia ha deciso di restare in Veneto, da sempre appassionato di escursionismo, scialpinismo e frequentatore degli ambienti di alta montagna.

Sono approdati a Limana dopo che Isabella ha deciso di vendere la sua casa a Modena per comprare un’abitazione più grande e vicina alle amate montagne, che avesse un terreno dove poter continuare a sperimentare agricoltura e terapie naturali. «A 20 chilometri da qui vivono degli amici», racconta lei, «ci è piaciuta subito la loro scelta, così siamo venuti a vivere in Valmorel, dopo aver scoperto questi luoghi stupendi grazie a un’escursione».

Quand’è che siete venuti a vivere qui?

«Ci siamo trasferiti nel 2003, dopo aver trovato e scelto l’ultima casa della via con un bell’orto già recintato dalla precedente proprietà. Abbiamo cominciato a restaurarla nel 2004, cominciando da subito a fare sempre più sperimentazioni, a raccogliere consigli, a seguire corsi e a leggere molti libri. La nostra azienda agricola “I boschi del castagno” è partita ufficialmente nel 2010 con l’apertura della partita iva, ovvero quando ci siamo sentiti pronti a condividere i nostri prodotti. Fin da allora facciamo parte della rete Woof (per fare esperienze in agricoltura biologica in tutto il mondo, ndr) che ci permette di ospitare volontari di ogni età che vengono qui da ogni parte del pianeta per condividere il nostro stile di vita».

Quali sono le vostre scelte ecologiche?

«Ci riscaldiamo con legna e pannelli solari, produciamo energia elettrica con l’ausilio di un impianto fotovoltaico, compostiamo i rifiuti organici nell’orto, usiamo lampadine a basso consumo energetico, detersivi e saponi autoprodotti o ecologici, ci affidiamo a fornitori locali, spegniamo il wifi di notte e proponiamo la lettura di riviste sul consumo critico e su stili di vita armonici».

Voi siete anche agriturismo e bed&breakfast.

«Abbiamo aperto le prime due camere nel 2008 e la richiesta è stata da subito sufficiente, così nel 2009 abbiamo completato la terza camera. Siamo diventati azienda agricola agrituristica tra il 2015 e il 2016 dopo aver seguito un apposito corso e aver attrezzato l’edificio con una cucina, dove ho scelto di non cucinare carne ma soltanto i nostri prodotti, e un piccolo laboratorio di trasformazione che rispondessero ai requisiti minimi chiesti dall’azienda sanitaria locale».

Come vi dividete il lavoro?

«Eugenio si occupa prevalentemente della coltivazione, io invece della programmazione delle camere, delle pulizie, della cucina e del coordinamento dei volontari Woof. In certe stagioni però, soprattutto quando il turismo lo consente, ci diamo una mano a vicenda. Cerchiamo di lavorare la terra in modo scalare, cominciando a piantare tra fine marzo e primi di aprile. Ogni 15 giorni ci arrivano nuove piante o lavoriamo al semenzaio, in modo che l’attività non sia intensiva ma concentrata in piccole parcelle, anche perché abbiamo 4 ettari di terreno di cui la gran parte bosco. Questo ci permette di usare mezzi piccoli: un trattore non ci servirebbe, un po’ per i pendii e un po’ per l’estensione dell’orto».

Quanto vi sentite rappresentati come azienda a livello istituzionale?

«Il mondo è strutturato per grandi dimensioni in tutti i settori e i piccoli come noi hanno esigenze che difficilmente possono essere soddisfatte dalle offerte del mercato. Quindi è un po’ dura in generale, perché le procedure sono uguali per tutti ma noi non possiamo permetterci una segretaria, un amministratore delegato, dei collaboratori, dovendo però al contempo far fronte a tutto. Questo sistema premia sempre e comunque l’acquisto, il consumo e il contributo, quando basterebbero aiuti in semplificazione. Non focalizziamoci per forza sui soldi, anche perché generano un modello che non si applica bene a una scelta di vita come la nostra, improntata sulla decrescita».

Il progetto DDolomiti potrebbe rispondere a questo bisogno?

«Mostrare a un pubblico sensibile queste realtà, ad esempio attraverso la “Guida dei custodi del territorio” assieme alla massa critica che possono avere come sistema e non come singoli, è un importante primo passo. Il resto è un lungo percorso da fare nella misura in cui riusciremo a lavorare assieme. Non abbiamo modelli a cui rifarci, l’autopromozione è difficile e la foto su Facebook non sempre basta. Ben venga se ci sono persone sensibili come loro che da fuori riescono a fare da eco là dove noi non sempre arriviamo». –



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