Alberi accatastati a terra e pendii scoscesi: i rischi quotidiani di chi lavora dopo Vaia
Nell’enorme “shangai” di alberi buttati a terra dalla tempesta Vaia chi lavora nel bosco corre ogni giorno rischi pesantissimi. Rischi contro i quali però, contestano i sindacati, non si fa ancora abbastanza.
L’incidente a Valpore costato la vita a Luciano Scariot, 52 anni, di Rasai, travolto da un tronco a terra messosi in movimento dopo un taglio, ha riacceso i riflettori sui rischi del lavoro di chi, nei boschi bellunesi, sta mettendo mano ai disastri provocati da Vaia.
«Il pericolo nel bosco c’è a prescindere», spiega Claudia Scarzanella, presidente provinciale di Confartigianato ma anche responsabile regionale della categoria segherie e lavori boschivi, «e a detta di tutti la situazione dopo Vaia è sicuramente più difficile, servono più competenze e più sicurezza».
La sensibilità delle aziende è aumentata, spiega Scarzanella, c’è stato un cambiamento positivo di cultura, «fin da dopo Vaia è stato chiaro che lavorare in un bosco con gli alberi schiantati non è la stessa cosa che farlo in un bosco in piedi». Ma resta un margine di fatalità che può costare caro anche agli operatori e agli imprenditori più preparati e dunque, spiega Scarzanella, «non bisogna comunque mai calare l’attenzione sul tema della sicurezza e sui pericoli di questo lavoro».
«Ci vorranno cinque anni per sistemare tutto dopo Vaia», spiega l’assessore regionale all’ambiente Gianpaolo Bottacin, «nei boschi la situazione è complicata. Il lavoro del boscaiolo è già difficile in una situazione normale, figurarsi in situazioni complesse con centinaia di alberi abbattuti e intrecciati tra loro e forti pendii. Per contro noi, come Regione, abbiamo contrattualizzato entro i termini 1.764 cantieri, non solo boschivi ma anche di opere idrauliche e paravalanghe, rispettando la scadenza che ci aveva dato il dipartimento della protezione civile. Una mole di lavoro enorme, mentre moltissime altre regioni non hanno rispettato la scadenza pur avendo subìto molti meno danni del Veneto».
Di fronte ad una tragedia come quella di mercoledì a Valpore, spiega Bottacin, è doveroso un atteggiamento di rispetto, «perché comunque non doveva accadere».
«Ma forse», dice l’assessore regionale, «se ci si limita a guardare le statistiche degli infortuni sul lavoro standard, aver registrato un solo infortunio gravissimo è un aspetto non così negativo. Come Regione, da questo punto di vista, abbiamo posto la massima attenzione con l’Usl e lo Spisal e i loro controlli, perché per chi fa un lavoro così complicato la tragedia è sempre dietro l’angolo».
A contestare però proprio la Regione è Marco Nardini, segretario provinciale della categoria lavoratori del legno Fillea Cgil. Nardini, che i boschi li gira anche come volontario del Soccorso alpino, va giù duro: «Un paio di mesi fa abbiamo presentato un documento dettagliato per capire come vengono fatti e da chi sono fatti i lavori boschivi, perché si parla di quasi 1.800 cantieri ma vediamo anche cantieri piccolissimi, con lavoratori non italiani, con poca sicurezza. Abbiamo detto che il fattore della sicurezza dei lavoratori deve venire prima di quello dei costi, che la gestione dei danni da tempesta non fa parte del solito bagaglio di esperienze del personale, abituato a lavorare nel bosco in piedi. Per questo chiediamo che lavoratori e imprenditori al momento della presa in carico dell’appalto abbiamo svolto obbligatoriamente tutti i corsi di sicurezza previsti».
Ma dalla Regione, spiega Nardini, non sono arrivati riscontri. «Poi c’è da dire che ad oggi, rispetto ai lavori di esbosco da fare, siamo completamente fermi», dice il segretario Fillea Cgil. «In alcune zone, ad esempio dell’Agordino o del Comelico, è tutto fermo. Ma disboscare con le piante ancora “fresche” e sane è una cosa, disboscare in seguito con le piante ormai secche è molto più pericoloso. E intanto, se quest’anno la neve supererà il metro e mezzo, torneremo ai problemi di valanghe dell’anno scorso».
«Ci sembra necessaria una riflessione urgente da parte delle istituzioni, in primis il commissario incaricato dalla Regione», aggiunte Sebastiano Grosselle, segretario dei lavoratori dell’agroindustria Flai Cgil, «sulle condizioni complessive di chi è chiamato ad operare in queste lavorazioni». Anche contando che il Bellunese ha già pagato un prezzo pesante un anno fa, spiega la Flai, con la morte in un bosco del Trentino dell’operaio Vitali Mardari. —
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