Allarme alpinismo «Fretta e imprudenza sono i nostri nemici»

Le regole di De Nes dopo le tragedie su Agner e Tre Cime Il geologo Salti: «Le Dolomiti si sgretolano da sempre»

BELLUNO. Due appigli che cedono, due alpinisti che precipitano e muoiono. Analoghe le cause che hanno determinato le tragedie sull’Agner e sulle Tre Cime nelle giornate di domenica e lunedì. E ieri, nel gruppo del Sorapis, la parete ha continuato a scaricare sassi, tanto che due escursionisti hanno dovuto chiamare l’elisoccorso.

Che cosa sta succedendo alle nostre montagne? «Nulla di particolare», risponde Leo De Nes, storica guida alpina, oltre che scalatore tra i più affermati. «Le Dolomiti hanno sempre continuato a sgretolarsi. Non è una novità. Siamo noi arrampicatori che spesso saliamo senza avere cognizione di causa o, se ce l’abbiamo, cerchiamo di non darci il tempo corretto della salita».

Il gruppo delle Tre Cime di Lavaredo, in particolare la Cima Grande, sono pareti che, secondo De Nes, è consigliabile affrontare subito dopo l’alba e non a mattina inoltrata, come nel caso della cordata incorsa nel drammatico incidente di domenica. «Non si può partire alle 11 per trovarsi alle 17 ancora in ascensione», mette le mani avanti la guida. «Come non ci si può cimentare con le Tre Cime e tante altre vie alpinistiche senza avere un’informazione specifica, puntuale. Si sa, ad esempio, che sulla Grande si sale e si scende lungo la stessa direttrice che, tra l’altro, è in parte chiodata».

De Nes ovviamente non vuole incolpare nessuno, perché ammette che in montagna e soprattutto sulle Dolomiti, che sono rocce friabili, l’imprevisto è sempre in agguato. E lo è soprattutto negli appigli che devono essere attentamente provati. «Certo, se si sbaglia via e si è presi dalla preoccupazione di non perdere tempo, l’errore è quasi scontato».

L’esperienza insegna alla “vecchia guida” che darsi tempo per arrampicare e, quindi, trovarsi alle 6 del mattino già ai piedi della Cima Grande è una scelta quanto mai saggia: primo perché si è davanti e non si hanno altri rocciatori che scaricano sassi, secondo perché, se capita l’incidente, ci sono persone che, in coda, possono darti una mano. A De Nes, peraltro, è capitato anche di trovarsi in ritardo, accompagnando clienti, sulla tabella di arrampicata e, quindi, di dover decidere il rientro. «Non tutti e non sempre ne comprendono la necessità, ma la guida alpina ha il dovere comunque di rinunciare alla vetta per salvare la vita della persona che accompagna e la sua stessa vita se intravvede dei rischi incombenti».

In ogni caso, aggiunge De Nes, chi frequenta le Dolomiti, più che altre montagne, ha il dovere di attrezzarsi per gli imprevisti.

Ma ciò che si è verificato in questi giorni, centra qualcosa con il fenomeno del gelo e del disgelo? Assolutamente no, risponde Luca Salti, geologo, che conosce le Dolomiti come le sue tasche. «Semmai questo fenomeno ha modo di verificarsi, in alcune situazioni, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. Ormai siamo in alta stagione. E, in ogni caso, gli sgretolamenti non aspettano specifiche condizioni climatiche per verificarsi: avvengono tutto l’anno. E non sono prevedibili. Lo sono, invece, dal punto di vista statistico». Se si sale una parete notoriamente franosa, è statisticamente probabile che un sasso possa cadere in testa o fra i piedi. Si impone, dunque, ogni forma di precauzione. «Chi si cimenta sulle Dolomiti, sa che va incontro a questi rischi e, pertanto, deve comportarsi di conseguenza», conclude Salti.

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