Allarme dell’Ascom per l’Iva che cresce «Il commercio è ko»
BELLUNO. Iva compresa. Non bastavano le tasse già attive a mettere carponi il commercio, ci voleva la proposta (si fa per dire) di aumentare di un punto l’imposta sul valore aggiunto dal 21 al 22 per cento. All’Ascom di piazza dei Martiri, ululano tutte le sirene possibili: dall’antifurto all’antincendio. La Confcommercio nazionale ha già dato i numeri del disastro economico: sono a rischio 26 mila negozi e da luglio la famiglia media italiana dovrà scucire almeno 100 euro in più e rinunciare a qualcos’altro. Del resto, il governo Letta ha il porcellino più magro che ci sia e vorrebbe imbucarci almeno 2 milioni di euro. Non sa proprio come trovarli, senza questo rincaro.
In città e provincia la situazione è già particolarmente critica, visto che non funzionano nemmeno più i saldi e questa ulteriore stangata sarebbe quasi il colpo alla tempia: «Il problema è molto serio», dice preoccupato il direttore dell’associazione bellunese dei commercianti Luca Dal Poz, «non ci sono soldi e la gente non può spenderli nei negozi. Il nostro settore viene sempre pesantemente penalizzato e giustamente, a livello nazionale, si è alzata la voce, per cercare di scongiurare un provvedimento che incide non solo sui negozianti, che con disciplina battono gli scontrini fiscali, ma anche sui cittadini, che vanno a fare la spesa»,
Un modo molto efficace, per scoraggiare chi avrebbe in mente di aprire un negozio. Se ci sarà, come ormai sembra scontato, questo aumento, i beni colpiti saranno, tra gli altri, vino, birra, abbigliamento, calzature, elettrodomestici, mobili, biancheria, carburanti, giochi e tecnologia. Insomma, tutto: «Ci sarebbe anche la voglia di aprire un’attività, ma certi provvedimenti te la fanno obiettivamente passare. Noi speriamo che il governo ci ripensi, perché sarebbe una botta mortale».
Aria pesante, in giro per la città e non è un problema di polveri sottili. Andrea Dal Pont de “La Mela” sperimenta ogni giorno i disagi del negoziante: «Non è solo un problema di uno per cento in più sul singolo bene. Tra quello, il trasporto, la distribuzione e tutto quello che serve, si può arrivare anche al 10, senza neanche accorgersene. Già si fanno pochi affari, ci mancava solo questa. Posso fornire un dato, che credo sia molto significativo: dall’inizio dell’anno, il settore alimentare ha perso il 5 per cento secco e purtroppo ho l’impressione che la situazione peggiorerà ancora nel corso dei prossimi mesi».
Non che i centri commerciali facciano affaroni, anche se tengono aperto tutte le sante domeniche e qualcuno non si fa mancare nemmeno le mattine di Pasqua e Natale: «Lo credo anch’io», sorride amaro Dal Pont, «però aggiungo che ci accorgiamo, eccome della loro apertura domenicale. Il lunedì la gente non spende più nei nostri esercizi più piccoli, perché è rimasta senza quattrini nel giorno festivo. Noi ci lamentiamo, però credo che chi si occupa di abbigliamento e calzature abbia ancora più guai di noi, con la crisi del manifatturiero, che stiamo scontando».
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