All’azienda “Pian di Colle” di Lentiai il biologico è garantito

Chiara Perotto si è data all’agricoltura dopo 15 anni da impiegata a Fonzaso

BORGO VALBELLUNA. Essere definita “custode del territorio” la fa sentire importante e al tempo stesso inadatta a ricoprire un ruolo così ampio, così alto. Chiara Perotto ha 42 anni, la maturità scientifica e due figli, Giulia e Giovanni, che poco dopo essere arrivati le hanno fatto prendere la scelta forse più importante: abbandonare il lavoro di impiegata a Fonzaso tenuto stretto per 15 anni, così da avere più libertà nella gestione della famiglia.

Quando nasce “Pian di Colle”?

«Ho aperto l’azienda agricola vitivinicola nel 2014 un po’ prima di licenziarmi, giusto per avere un periodo di transizione. Nel 2014 ero anche riuscita a riscattare le viti che nel 2008 avevamo impiantato sui nostri terreni come progetto sperimentale sotto la supervisione di Veneto Agricoltura, questo perché all’epoca non c’erano ancora molti terreni vitati nel Bellunese e credo stessero facendo delle prove per vedere come rendeva questo tipo di coltivazione in media e alta montagna. Nel 2015 ho lasciato il lavoro e da allora va avanti la nostra avventura a Colderù di Lentiai».

Quindi è nato un po’ tutto per caso?

«Ho sempre avuto l’orto che ci dà da mangiare per gran parte dell'anno e quel che ho imparato proviene quasi tutto dalla nonna. Però io e il mio compagno Fabio, che mi aiuta nella parte meccanica mentre assieme ai miei genitori mi occupo di quella manuale (come la raccolta dei grappoli), non eravamo viticoltori e inizialmente non sapevamo se avventurarci in questo campo. È un lavoro che è cresciuto grazie allo studio e alla pratica sul campo, mosso da un grande amore per la terra e per i suoi frutti».

State riuscendo a coinvolgere anche i vostri figli?

«Eccome. Loro ci aiutano molto e stanno iniziando a condividere la stessa passione e lo stesso rispetto per la natura che abbiamo noi. Quando andiamo a fare la spesa, per esempio, cerchiamo di comprare solo l’essenziale, perché gran parte delle verdure ce le autoproduciamo, mentre la carne è quasi sempre dell’amico contadino e i prodotti che ci mancano cerchiamo di prenderli da produttori che conosciamo di persona. Giulia è diventata bravissima, odia gli involucri di plastica. In primavera entrambi mi aiutano a mettere pali di pelo di pecora per allontanare gli insetti dai germogli della vite. Abbiamo tanti modi per coinvolgerli e loro lo fanno sempre molto volentieri».

Di che tipo di produzione stiamo parlando?

«Abbiamo poca vigna anche per scelta, vogliamo restare piccoli per non aver bisogno di terzisti né di altri operatori. Si tratta di una scelta economicamente sostenibile per noi; all’inizio non abbiamo fatto un grande investimento per prudenza, cosa che, con il senno di poi, forse avremmo dovuto fare, visto che le ultime piante sono entrate a dimora due anni fa, ma andranno in produzione solo il prossimo anno. Abbiamo quasi due ettari con i quali produciamo circa 1.500 bottiglie all’anno di Coldel igt Pinot nero e Felice Manzoni bianco, ma per essere un’azienda che sta in piedi con solidità dovremmo produrne 5-6 mila. Abbiamo anche un piccolo appezzamento di Solaris resistente, che sarà imbottigliato per la prima volta in primavera. Siamo inoltre riusciti a convertire l’intera produzione al biologico con una declinazione biodinamica, perciò da quest’anno raccoglieremo uva bio e vinificheremo personalmente, perché siamo anche riusciti a ristrutturare un piccolo annesso e a trasformarlo in cantina».

Come distinguersi sul mercato?

«L’anno scorso abbiamo lanciato una serie di degustazioni chiamate “Aperitivi in vigna”, piccole feste estive sul prato di fronte a casa con cicchetti e calici che hanno avuto un grande successo, tanto che una sera sono passate quasi 150 persone. Il fattore vincente di queste iniziative è che si viene a degustare direttamente sul luogo di produzione, dove si può apprezzare tutta la bontà dell’azienda. Mi piacerebbe ampliare l’offerta, ma per il momento dobbiamo limitarci a fare quello che i nostri terreni e le nostre risorse ci permettono di fare».

Com’è stata la produzione del 2019?

«L’annata è andata abbastanza bene, con alti e bassi dovuti al tempo, che fortunatamente è stato perlopiù buono. Non pretendo mai grandi rese, magari ci perdo qualcosa, ma almeno so di non aver esagerato con il rame o altri trattamenti. Da qualche tempo abbiamo introdotto tanti prodotti a base di alghe che permettono di ridurre proprio il ricorso al rame. Si dice che i prodotti biologici non siano così sani, ma questo dipende da come li si fa, se con la testa sulle spalle o no. Io voglio che la gente passeggi tranquilla nelle mie vigne senza la paura di ciò che respira, così come voglio che i miei figli possano correre tranquilli tra i filari. Tutto è il resto è una scelta conseguente. —


 

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