Amalia Gastaldelli nella top delle scienziate

BELLUNO. Una bellunese nella “Top Italian Women Scientists 2016”. Si tratta della ricercatrice Amalia Gastaldelli, inserita di recente (precisamente il 25 maggio) nella classifica frutto di un censimento degli scienziati italiani di maggior impatto in tutto il mondo. Un impatto misurato con il valore chiamato in gergo tecnico “H-index”, che racchiude sia la produttività che il peso scientifico del ricercatore e che si basa sulla continuità nel tempo e sul numero di citazioni per ogni pubblicazione.
La Gastaldelli, research director al Cnr Istituto di Fisiologia clinica di Pisa, è tra le trentotto scienziate che rappresentano l’eccellenza femminile italiana.
E questo per l’importante contributo dato all’avanzamento delle conoscenze scientifiche in campo biomedico. Nata a Belluno nel 1965, iscritta al social network “bellunoradici.net”, la ricercatrice ha un curriculum invidiabile.
Può raccontarci il percorso che l’ha portata a ottenere questo riconoscimento?
«Ho vissuto a Belluno città fino alla maturità (ho frequentato il liceo scientifico). Mi sono poi laureata a Padova, alla facoltà di ingegneria elettronica. Mio padre era medico: per questo non volevo seguire lo stesso percorso di studio. In seguito mi sono però accorta che era invece proprio quello che volevo studiare. Ho infatti frequentato un dottorato di cinque anni in Texas, sul metabolismo umano. Ho poi deciso di ritornare in Italia per la qualità della vita, sebbene gli Usa mi avessero offerto grandi opportunità di crescita e di carriera. Ho quindi conseguito un altro dottorato al Politecnico di Milano, in ingegneria biomedica. Sono “approdata” a Pisa perché all'università ho conosciuto quello che sarebbe diventato il mio futuro marito, che è appunto pisano. Il mio ambito di studio principale riguarda il rischio cardio metabolico e le malattie metaboliche. Il premio che mi è stato assegnato il 25 maggio a Milano è basato su un indice "H30" (almeno 30 pubblicazioni e almeno 30 volte utilizzate da altri studenti e non solo). L'indice da me ottenuto è pari a "H50". Attualmente ci sono circa 3.300 ricercatori italiani con "H30"».
Qual è il suo rapporto con Belluno?
«Lo definirei bellissimo. Vorrei tornare nella mia terra più spesso, ma i mezzi pubblici non me lo consentono. Quando posso vengo con la mia auto. Ho un forte legame con il bellissimo territorio provinciale. Mia madre e i miei parenti vivono a Domegge. Mio padre era di Verona. Ho inoltre un forte rapporto con i miei amici bellunesi. Sono cresciuta con loro, specie con i miei compagni di liceo. Anche se molti di questi sono emigrati all'estero».
A proposito di “fuga di cervelli”, che spazio c’è in Italia per ricerca?
«Ci sono istituti con grandi ricercatori italiani. L'Italia prepara e forma bene. Purtroppo le opportunità per la ricerca e per il posto fisso sono bassissime. Il problema dei fondi è molto pesante, anche per la crisi che stiamo vivendo (e non solo in Italia). I miei progetti, per esempio, sono sostenuti dall’Unione Europea. Gli italiani sono bravissimi nella ricerca, ma meno nella gestione dei fondi. Cosa invece che sanno fare bene negli Usa. Non rimpiango comunque la scelta di essere tornata nel Belpaese. Ai giovani lancio un messaggio: vivete un'esperienza all'estero, ma poi cercate, anche se non è semplice, di tornare a Belluno o, in generale, in Italia. Luoghi meravigliosi, dove la qualità di vita è alta».
Obiettivi futuri?
«Lo sviluppo di progetti di avanguardia nel campo della salute pubblica e della prevenzione (e non solo della cura) delle malattie metaboliche. Sto lavorando poi sull’impatto delle plastiche inquinanti sulla salute dei bambini. Il dato ufficiale dello scorso anno mette in evidenza che, per la prima volta, l'aspettativa di vita delle generazioni dei più giovani sarà più corta rispetto a quella precedente».
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