Appalto non genuino assolti due dirigenti
BELLUNO. La casa di riposo svolge funzioni istituzionali di competenza dell’ente Comune, quindi il reato contestato agli imputati non sussiste. Sono interessanti le motivazioni dell’assoluzione di Arrigo Boito e Lino Cusin, perché il caso che li ha visti a processo non è il primo e potrebbe non essere l’ultimo.
Boito è il direttore delle case di riposo di Forno di Zoldo (ma anche di Longarone e Limana), anzi è il responsabile dell’Area socio assistenziale del Comune di Forno di Zoldo. Cusin, invece, è il legale rappresentante della “Gemeaz Cusin Ristorante spa” di San Polo di Piave, società che aveva vinto l’appalto per il servizio di fornitura dei pasti alla casa di riposo zoldana.
I due erano a processo con l’accusa di aver violato l’articolo 29 del decreto legislativo n. 276 del 2003 (attuazione della Legge Biagi), dando vita a un “appalto non genuino”, cioè senza che la società appaltatrice disponesse di un’organizzazione propria assumendosi il rischio d’azienda, per ben 2.546 giornate lavorative, dal primo luglio 2007 al 31 agosto 2010, ipotesi di reato accertata il 5 aprile 2011.
Entrambi sono stati assolti il 25 novembre dal Tribunale di Belluno perchè il decreto legislativo contestato ai due imputati non è applicabile alle amministrazioni pubbliche e ai loro dipendenti.
La casa di riposo di Forno di Zoldo si trovava in carenza di personale addetto al servizio pasti, ma non era possibile procedere a nuove assunzioni per il blocco imposto alle pubbliche amministrazioni. Per risolvere il problema, Boito decise di esternalizzare, cioè affidare il servizio a privati attraverso una gara d’appalto. Nella mensa della casa di riposo, però, erano presenti due dipendenti, assunti anni prima dal Comune di Forno di Zoldo a tempo indeterminato e dopo aver superato un concorso. L’ipotesi di licenziare i due addetti non è nemmeno venuta in mente al direttore della struttura, che ha messo a disposizione della società appaltatrice il personale residuo e i mezzi strumentali. I due dipendenti hanno mantenuto il lavoro e il contratto degli enti locali, ma in distacco presso la società di Cusin.
Secondo l’Ispettorato del lavoro di Belluno, la legge Biagi vieta questa procedura e la considera alla stregua del caporalato, fattispecie che prevede che qualcuno approfitti economicamente di contratti a minor costo per i dipendenti anziché assumerne di nuovo, ma le esternalizzazioni costano di più della gestione diretta. L’ispezione si concluse con l’indagine a carico di Boito e Cusin, che sono stati poi rinviati a giudizio. Il decreto n. 276, però, all’articolo 1, precisa che l’ambito di applicazione della legge riguarda i privati, escludendo le pubbliche amministrazioni.
Va detto che la legislazione in materia di gestione dei servizi pubblici è stata particolarmente prolifica con sei modifiche in due anni e di conseguenza poco chiara. Dopo i referendum sull’acqua, ad esempio, la norma emanata per rimediare all’abrogazione aveva spinto ancora di più verso le privatizzazioni anche i servizi di interesse generale, salvo poi riconsiderare l’importanza della governance pubblica per i servizi sensibili come le case di riposo. Dal governo Monti in poi si è preso atto della necessità di salvaguardare la gestione pubblica di questi servizi, concedendo alle Aziende speciali a diretta emanazione dell’ente locale facoltà di assumere personale necessario per far fronte ai propri bisogni senza che questo entri nel nucleo dei dipendenti del Comune stesso. Quest’ultimo passaggio è stato reso possibile di recente, con un emendamento presentato dalla senatrice bellunese Raffaela Bellot (Lega Nord), dopo che la problematica era stata sollevata dalla Conferenza dei sindaci dell’Usl 1. Tale emendamento ha reintrodotto un trattamento di favor iuris per le aziende speciali. Ad oggi è quindi possibile assumere tutto il personale confacente al servizio da erogare, a condizione che ci sia il pareggio di bilancio.
Il caso legale di Boito e Cusin, dunque, non dovrebbe ripetersi, eppure dopo Forno Di Zoldo, Lamon, Longarone e Quero, pare che altri direttori di case di riposo possano trovarsi imputati con le stesse accuse.
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