Appello dei parenti per una gestione più umana della Rsa di Agordo. «Persone non merci»

Con una lettera, ventitré famigliari degli ospiti chiedono aiuto. «Non solo conti, migliorare le condizioni dei nostri cari è un dovere»

Gianni Santomaso
La Rsa di Agordo è al centro delle polemiche per una gestione considerata poco attenta
La Rsa di Agordo è al centro delle polemiche per una gestione considerata poco attenta

AGORDO. «Nel registro della contabilità di questo tipo di aziende ci sono persone, non merci e noi famigliari vorremmo avere il meglio per i nostri cari. I problemi che ci sono non possono essere tutti ricondotti all’epidemia».

È un grido d’aiuto quello che arriva da ventitré famigliari degli anziani ospitati nella Rsa di Agordo gestita da Asca che hanno sottoscritto una lettera in cui mettono in luce le loro preoccupazioni tutt’altro che sopite dopo gli interventi della scorsa settimana da parte dell’amministratore unico di Asca, Mariachiara Santin, e del presidente dell’assemblea dei soci di Asca, Michele Costa.

A stridere, in particolare, è il confronto fra le rassicurazioni date da Santin sul positivo dialogo con i famigliari e sull’esiguità delle loro segnalazioni e l’accorato appello, arricchito da testimonianze dirette, contenuto nella lettera dei famigliari stessi.

Non solo numeri

«Non è nostra intenzione alimentare la polemica», dicono, «ma rivolgiamo una richiesta di aiuto verso chiunque abbia la facoltà di darlo. Qualcuno di noi l’ha fatto singolarmente avvicinando qualche sindaco, ma non ha avuto la necessaria considerazione».

«La sensazione nostra è che questo tipo di aziende sia considerata da alcuni alla stregua di qualsiasi altra: quando i conti sono in ordine l’azienda è di conseguenza sana. Purtroppo nel nostro caso nel registro di contabilità ci sono le persone al posto delle merci, uomini e donne figli di questa terra, appartenenti ad una generazione che ha dato tanto e con molti sacrifici, per lo più madri e padri, ma anche mariti o mogli che per circostanze e fragilità sono costrette a trascorrere gli ultimi giorni della loro vita in queste strutture».

Un servizio che si paga

I famigliari vogliono che i loro cari abbiano il meglio, in primis perché si tratta di persone, ma anche per l’impegno economico a cui sono costretti a far fronte per pagare le costose rette della casa di riposo. Il presidente dell’Unione montana, Michele Costa, aveva detto di essere consapevole che «in Asca non tutto è perfetto», ma i racconti dei famigliari sono invece tesi a smontare qualunque lettura minimalista da parte degli amministratori.

Le mancanze

«Vorremmo sapere che i nostri cari sono curati nell’igiene e rispettati nella persona», dicono i 23 firmatari della lettera, «vorremmo essere informati con tempestività sui loro stati di salute, sui loro ricoveri al pronto soccorso e non venirne a conoscenza casualmente e con giorni di ritardo».

«Vorremmo che durante la stagione calda fossero portati fuori all’aria aperta, in un giardino ben curato e non pieno di sterpaglie. Vorremmo che fossero stimolati mentalmente con iniziative di gruppo come avviene in strutture analoghe e non lasciati per ore da soli seduti su di una sedia: le figure idonee per questo tipo di attività ci sono e pure preparate».

Il personale se ne va

A ciò aggiungono anche la richiesta di fare chiarezza sulle «cause del ricorrente allontanamento di figure professionali competenti, alle quali l’anziano si affeziona. Alcune di queste sono residenti qui e non si comprende la necessità di spostarsi».

Non credono, i famigliari, che le cause dei disservizi siano imputabili esclusivamente al Covid e sottolineano che «per conoscere le reali situazioni che si generano all’interno di questi organismi vanno ascoltati in primo luogo gli ospiti e poi noi famigliari, perché siamo noi i fruitori del servizio».

Una situazione, quella della Rsa agordina, che genera «frustrazione» nei famigliari per il fatto di non poter intervenire per migliorare la condizione dei propri cari. Una situazione che, di conseguenza, si ripercuote negativamente anche sulle loro vite.

«Non conosciamo le ragioni che hanno condotto a questa situazione», concludono, «e neppure i responsabili, ma non è nostra intenzione né ricercarli, né tanto meno accusarli».

«Ribadiamo la nostra richiesta di aiuto a chiunque possa farlo e desidereremmo che ci fosse dato non perché è imposto da una carica o una funzione, ma per il senso etico che dovrebbe accompagnare ogni persona dotata di un’anima solidale».

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