Appia, assolto il direttore Maurizio Ranon

Era accusato di concussione e abuso d’ufficio da un consulente per 3.600 euro, ma non è un pubblico ufficiale

BELLUNO. Assolto con formula piena. Si è chiuso ieri pomeriggio il processo a carico di Maurizio Ranon, il direttore dell’Appia accusato di concussione (induzione a dare o promettere utilità) e abuso d’ufficio per aver chiesto e ottenuto 3.600 euro da Gianfranco Buonanno, in cambio di un incarico. Il collegio giudicante formato dalla presidente del tribunale Antonella Coniglio, a latere Elisabetta Scolozzi e Cristina Cittolin, ha emesso la sentenza ieri dopo le repliche del pm Paolo Sartorello, che aveva chiesto la condanna a 3 anni e sei mesi e degli avvocati difensori Antonio Prade e Domenico Carponi Schittar.

Contestuali e concise le motivazioni alla sentenza: Ranon era semplicemente un consigliere della Camera di Commercio, che non è guidata da un consiglio di amministrazione. Ranon dunque non è un pubblico ufficiale e nel suo ruolo non aveva il potere di indirizzare le decisioni della giunta camerale. Senza entrare nel merito, quindi, le accuse di concussione e abuso d’ufficio non hanno fondamento a carico di Ranon, perché qualsiasi cosa sia accaduta, rientra in un rapporto tra privati. Il direttore dell’Appia, quindi, va assolto, con formula piena, perché il fatto non sussiste.

I fatti contestati a Ranon furono denunciati nel gennaio del 2013 da Buonanno (parte civile con l’avvocato Giorgio Gasperin). Nel 2010 l’Appia bellunese decise di pubblicare un manuale di monitoraggio delle aziende associate e chiese un contributo del 40% alla Camera di Commercio. Secondo l’accusa Ranon avrebbe dovuto astenersi dal voto, in sede camerale, visto che era direttamente interessato allo stanziamento. L’ente, in sede di giunta, deliberò il finanziamento di 45 mila euro per quella pubblicazione, ma ancora prima che lo stanziamento fosse deciso, secondo Buonanno, Ranon lo contattò per affidargli l’incarico di curare il manuale. In cambio di quel lavoro, Ranon avrebbe chiesto e ottenuto da Buonanno 3.600 euro in tre rate, inseriti una busta con la scritta black. Una tangente, insomma, ma per Ranon quei soldi erano semplicemente un deposito cauzionale che è rimasto nella cassaforte dell’Appia senza entrare in contabilità, nè nelle tasche di Ranon.

L’avvocato Prade aveva definito il capo di imputazione a carico di Ranon firmato dall’ex procuratore Francesco Saverio Pavone «vago, scarso e impreciso», considerando Buonanno un «accusatore mendace» capace di «insinuazioni infamanti»; mentre la parte civile aveva chiesto un risarcimento danni di 50 mila euro.

Ieri la sentenza di assoluzione, a poco meno di due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, sentenza che Ranon ha accolto con grande sollievo, ma senza entrare nel merito nè scendere in polemica.

«Voglio soprattutto ringraziare di cuore la mia famiglia che mi è rimasta sempre vicina in questi anni senza mai dubitare del mio comportamento. Un grazie va anche all’Appia che non ha mai dimostrato dubbi nel mio operato, tanto è vero che sono rimasto a ricoprire il ruolo di direttore dell’associazione. Ringrazio infine tutte le persone e le associazioni che in questi lunghi mesi mi hanno fatto sentire la loro vicinanza e il loro conforto. Per me è stato molto importante».

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