Arsiè punta su tartufi e nocciole per valorizzare i terreni incolti
Arsiè terra di tartufi pregiati. Già si sapeva dal lontano 1919, quando si racconta che il “vecio patatéla”, da tutti considerato un vecchietto innocuo e mezzo matto, saliva dalla Valsugana con la sua cagnetta a cercare le “patate de rore” sopra Fastro Bassanese.
Non tutti sanno però che il tartufo in questione è una pianta “micorizzabile”, che se vogliamo è anche un po’ sinonimo di “coltivabile”.
Sì, perché si possono innestare le spore di micelio (il corpo vegetativo del fungo) nelle radici di determinate piante ospiti, da interrare successivamente in terreni compatibili. Che proprio ad Arsiè si estendono per centinaia di metri quadrati.
La pazza idea è venuta a Dario Dall’Agnol, il custode dell’aneddoto sull’anziano raccoglitore di tartufo dell’immediato dopo guerra ma anche membro attivo del “Corte” (Consorzio per il recupero dei terreni abbandonati e incolti) e in passato anche appassionato di trifole.
«Conosco un tecnico che ha raccolto e analizzato diverse qualità di tartufo delle nostre zone», racconta rispolverando i ricordi, «mi ha spiegato come distinguerle e anche come micorizzare le piante adatte a coltivarli». E guarda caso, una delle più ospitali sarebbe proprio il nocciolo.
«Lo dico per scherzare, ma se dovessero davvero arrivare la Ferrero e la Novi a coltivare noccioli per tutta la provincia, noi potremmo metterci a coltivare tartufi».
Le piante micorizzate hanno una produzione più elevata, perché dalla simbiosi entrambe le forme di vita traggono un notevole vantaggio: «Il tartufo riceve le sostanze nutritive necessarie a crescere, ma è anche in grado di fornire più acqua alla pianta», spiega Dall’Agnol. Alcuni tipi di tartufo esalano dei gas che impediscono all’erba di crescere tutt’attorno i tronchi delle piante: «Questo permette di scovarli anche senza l’ausilio dei cani».
Ad Arsiè vi è produzione spontanea di “tuber brumale”, qualità già di per sé elevata, che viene raccolto e talvolta spacciato per “melanosporum”, il tartufo nero di Norcia o la Truffe du Périgord, la qualità migliore dei tartufi neri.
«Quando abbiamo scoperto che il nostro territorio era pieno di tartufo siamo andati anche a proporre ai nostri ristoratori di utilizzarlo nei loro piatti. Parlo di trent’anni fa», ricorda Dall’Agnol, «ma all’epoca hanno bellamente rifiutato la proposta. Il tecnico ci avrebbe assistito nella raccolta, negli usi e nella conservazione». La strada è battuta e può essere ripercorsa. Ma Novi e Ferrero potrebbero asfaltarla.
Francesca Valente
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi