Atti Vajont, L’Aquila dà la mano a Belluno «Nessuna guerra, stiamo collaborando»

Parla la funzionaria dell’Archivio abruzzese Marta Vittorini: «Sul patrimonio culturale non ci sono lotte, decide il Ministero»

Marcella Corrà
Il palazzo della Prefettura de L’Aquila pesantemente danneggiato dal terremoto del 2009
Il palazzo della Prefettura de L’Aquila pesantemente danneggiato dal terremoto del 2009

«Mi ha fatto molto dispiacere leggere sui mass media che c’è una guerra tra Archivi di Stato, tra quello di Belluno e quello de L’Aquila, per le carte del Vajont. Non ci sono scontri, non ci sono guerre, non ci sono contrapposizioni: siamo funzionari dello Stato che lavoriamo per la conservazione e la valorizzazione di quanto è contenuto negli Archivi, a Belluno come a L’Aquila e nel resto d’Italia».

Marta Vittorini dirige l’Archivio di Stato de L’Aquila da oltre un anno. La sede attuale dell’Archivio è in un capannone nella zona industriale del capoluogo abruzzese, dopo che il 6 aprile 2009 la storica sede dentro la Prefettura venne profondamente danneggiata da un terremoto di magnitudo 6.3 della scala Richter, che provocò oltre 300 morti e miliardi di euro di danni.

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I faldoni con gli atti relativi al processo del Vajont sono attualmente conservati all’Archivio di Stato di Belluno

Molti ricorderanno le immagini della prefettura, con la scritta sbilenca dopo le scosse, “Palazzo del Governo”. Nella parte posteriore c’era l’Archivio di Stato. Tra i morti del terremoto ci fu anche un’archivista che si stava occupando del progetto appena iniziato per la digitalizzazione delle carte del Vajont. Passarono poche settimane, ricorda la dottoressa Vittorini, e il 20 maggio venne siglata la convenzione presso la Direzione nazionale archivi per il deposito temporaneo all’Archivio di Stato di Belluno delle carte processuali del Vajont. C’era da completare il lavoro di digitalizzazione dei documenti, che avrebbe consentito la fruizione on line della documentazione, oltre che effettuare il restauro di alcuni faldoni danneggiati anni prima.

I documenti di processi, come sono quelli del Vajont, restano di norma negli archivi del Tribunale per 40 anni e poi passano all’Archivio di Stato della città dove si sono svolti i processi e diventano consultabili da tutti. «A suo tempo», ricorda la funzionaria de L’Aquila, «noi abbiamo salvato le carte del Vajont, ben prima che si arrivasse ai 40 anni previsti per legge. I faldoni processuali erano tenuti in un locale del Tribunale non idoneo, e siamo riusciti con una convenzione a farli diventare proprietà dell’Archivio». Era accaduto infatti, circa 30 anni fa, che si fosse rotto un tubo di scarico delle acque nello scantinato del Tribunale dove i documenti si trovavano. Dei 256 faldoni che formano l’archivio, 14 vennero profondamente danneggiati dall’acqua: pagine lavate via, fotografie distrutte, documenti non più leggibili.

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Dopo la scoperta del grave danno, i faldoni vennero spostati in un’altra stanza del Tribunale, quella delle guardie carcerarie che accompagnano gli imputati ai processi. Li trovò in quelle precarie condizioni lo storico Maurizio Reberschak, che aveva provato anche anni prima ad accedere ai documenti, senza ottenere una risposta positiva, mentre nel 2002 gli venne concesso di consultarli. Come ci ha raccontato lui stesso nei giorni scorsi «era cambiata la sensibilità attorno alla tragedia del Vajont», prima quasi dimenticata poi diventata patrimonio nazionale dopo l’orazione civile di Paolini e il film di Martinelli.

Ma torniamo ai giorni nostri e al dibattito intorno al luogo di conservazione dei documenti del Vajont. Nel dicembre 2010 i faldoni arrivarono a Belluno e qui continuò il lavoro di digitalizzazione e iniziò quello del restauro (grazie alle capaci mani delle monache di Rosano) per evitare che le muffe che si erano formate sui documenti fradici d’acqua potessero estendersi al resto dei faldoni. «Noi lavoriamo in sinergia con Belluno fin dal 2009», spiega la dottoressa Vittorini, «e insieme siamo riusciti a ottenere il riconoscimento Unesco “Memory of the World” (Memoria del mondo). Quando si è trattato di preparare i materiali che servivano all’Unesco li abbiamo scritti insieme. Quello che ho scritto io l’ho mandato alla collega di Belluno e nulla è stato inviato all’Unesco senza che fosse letto e approvato da entrambi».

Una collaborazione che prosegue anche con la prossima mostra, allestita in occasione del 60° del Vajont: anzi due mostre, una a Belluno e una a L’Aquila, da una parte gli originali, dall’altra le copie digitali. «Sul patrimonio culturale», aggiunge Marta Vittorini, «non ci sono rivalità o lotte, è di tutti: noi funzionari siamo gli strumenti per la conservazione e la conoscenza. Noi ci occupiamo di cultura, seguendo le leggi e le direttive che ci arrivano dagli organi competenti. Non abbiamo commenti o pareri personali su dove le carte del Vajont vadano custodite. E non abbiamo recriminazioni. A decidere sono gli organismi superiori».

«Belluno e L’Aquila sono province simili, montane, che hanno patito grandi tragedie: la cultura ci deve unire, non dividere», conclude.

Quando verrà inaugurata la mostra a Santa Maria dei Battuti, attorno alla data del 9 ottobre, tra i presenti potrebbe esserci anche la direttrice dell’Archivio de L’Aquila. È il suo desiderio e nello stesso tempo il segnale della collaborazione e della unità di intenti che esiste tra i due Archivi.

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