Bar trattoria Alpina di Agordo, Maria Rosa non chiude: «Qui i ricordi di una vita»

Sessant’anni di storia tra i fornelli e dietro il bancone: dal legame con gli studenti del Follador alla minestra d’orzo per Del Vecchio
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AGORDO


«Io non sono capace di chiudere». Lo dice così la Maria Rosa seduta al tavolo della cucina collegata al bar che fu anche albergo e trattoria Alpina in via 5 maggio ad Agordo. Lo mormora quasi con un lieve imbarazzo: come dire che non ci sarebbe nessuna ragione per tenere aperto un locale che a fine giornata frutta un 30-40 euro appena.

Ma chiudere per sempre i mille ricordi di quasi sessant’anni di lavoro è impossibile e tenere alzata la saracinesca aiuta a farli sentire ancora lì gli studenti e i professori del Follador, i panini e le patate fritte e Del Vecchio che si gusta la minestra da orzo e il lesso e Francavilla che organizza le cene. E il suo Ricky che da 25 anni non c’è più, ma la cui passione per il Milan è lì sulla parete vicino alla porta su quel poster che rievoca la vittoria contro l’Ajax per 4 a 1 al Santiago Bernabeu di Madrid nel 1969. Maria Rosa Deon, 79 anni fatti a maggio, non può chiudere. Non ancora.

Nel ’61 inizia l’avventura...

«Mia suocera, Gina Preloran, aveva smesso l’attività di albergo da 15 anni. Nell’ottobre 1961 sono arrivati i primi due studenti: uno dalla Val di Non che andava a casa a Natale e Pasqua. Avevo una cameretta e stava qui fisso. Ricordo che piangeva. E uno di Voltago: mangiava e dormiva qui perché la mamma era a servire a Milano per mantenerlo agli studi. Ecco, quello della Val di Non si chiama Celestino Zuccal e oggi ha due lauree».

Quelli del Follador erano un po’anche i suoi ragazzi e i suoi professori.

«Dal 1961 fino al 2009, quando l’istituto è stato trasferito a Tamonich, c’è stato un legame profondo. Nel 1961-62 portarono anche l’indirizzo chimico e arrivarono tanti trentini. Da allora fino al 1981 avevo i ragazzi a mangiare e anche a dormire. Colazione, pranzo e cena: si fermavano tutti anche da Belluno e Feltre. Alcuni erano alloggiati in case private vicine. Facevano scuola di pomeriggio anche tre volte a settimana. Io aprivo dal lunedì mattina a sabato a mezzogiorno. Avevo una settimana intera con 18 persone fisse. Questo fino al 1980, poi è cambiato tanto perché hanno tolto i pomeriggi e quindi i ragazzi alle 13 andavano a casa».

Ma hanno continuato a frequentare il bar? «Certo. Pensa che preparavamo 70-80 panini al giorno. Venivano a prenderseli a ricreazione e poi tornavano su. Negli anni poi non potevano più uscire e iniziarono a venderli all’interno. E poi c’erano i professori: Parissenti, Stragà e il preside Foresi».

Com’erano gli studenti di allora?

«Qualcuno mi avvicinava e mi diceva: “Maria Rosa, tu che hai confidenza chiedi al prof come vado a scuola”. Alla sera arrivavano magari un po’ brilli, ma non ho mai avuto problemi. Una volta in verità era successo questo: c’erano i contenitori delle caramelle che si svuotavano, ma io, tirando le somme, verificavo che non incassavo i soldi che avrei dovuto. Alla fine dell’anno scolastico sono venuti qui due ragazzi: “Guarda Ricky che siamo stati noi e ti paghiamo”».

Dal 2009 le scuole sono state trasferite a Tamonich. Le mancano?

«Sì, mi manca il rapporto con i ragazzi. Era bello sentire ogni giorno discorsi diversi. Oggi non è più così. Cosa vuoi, faccio due fatture al mese per le bibite e il caffè. Per fortuna sono esente dalla fattura elettronica, perché altrimenti chiuderei. Il movimento è quello che è: qualche ombra, 30-40 euro al giorno. Ma è bello vedere che ogni tanto qualcuno degli studenti e dei professori torni a salutare. Anche l’altro giorno sono venuti a fare una bicchierata e mi piace sentire che uno è stato là e un altro qua. Quei ragazzi studiavano con lo spirito di chi aveva voglia di fare qualcosa e anche di andare via, per il mondo. Tanti sono andati all’università e tanti a lavorare all’estero. Oggi mi pare più difficile. Mi sembra che i giovani abbiano meno estro di mettere su attività in proprio. Finiscono di studiare e vanno in Luxottica».

Oltre agli studenti erano però in tanti ad apprezzare la sua cucina. Quali erano le tue specialità?

«Dal 1980 al 2000, anno in cui ho chiuso la trattoria, venivano in tanti e gli affari sono sempre stati buoni. Pastasciutta, bistecca ai ferri e patate fritte erano sempre apprezzate. Oh, non ho mai comprato le patate surgelate, sia chiaro. E l’olio era sempre caldo. Quanti operai sono venuti. A luglio chiudevo perché andavo in gita con don Lino: li avvisavo tre mesi prima. Anche Del Vecchio veniva a mangiare qui. Gli piaceva la minestra da orzo e il lesso. Me lo ricordo ancora quando arrivava con la Lambretta. Era di poche parole. E poi anche Francavilla organizzava le cene».

E oggi?

«Oggi apro, come una volta, alle 6.30 e chiudo il sabato all’una. Gli orari sono rimasti quelli, fuori però è cambiato tutto e giovani non ne vengono più. Ma io sono abituata a tenere la porta aperta». —
 

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