Baratta: «I debuttanti il nostro rischio vitale»
di Manuela Pivato
E con questa fanno dodici. «Sono un veterano» dice, consapevole che la longevità comporta onori e aspettative. Al volger del suo terzo mandato, il presidente Paolo Baratta tocca con mano il tempo che passa, ciò che ha prodotto e quello che ancora offre, a cominciare dalla possibilità di un Baratta-quater; evenienza resa plausibile dal decreto sugli enti locali che rimuove i limiti dell’incarico, trasversalmente auspicata e signorilmente sorvolata dal diretto interessato. Alla vigilia delle Mostra, annuncia ciò che porterà in dote, come la nuova Arena e la proposta di rendere definitiva la passerella davanti al Palazzo del cinema, e ciò che manca all’appello, come il Des Bains («la Costa Concordia del Lido») e il “buco” davanti al Casinò.
Presidente, come ci sente alla dodicesima volta?
«Più preoccupati e più tranquilli. Più preoccupati perché anche gli altri si muovono e ci sono sempre più festival. Più tranquilli perché sappiamo quali sono le leve giuste da muovere, quelle da aggiustare, o quelle da tener ferme».
L’insidia maggiore?
«Di fronte ai cambiamenti dei mercati e degli orientamenti dei produttori, dobbiamo evitare che la trasformazione ci porti fuori pista e non cadere negli inseguimenti scomposti sul breve orizzonte».
Cos’ha la Mostra che gli altri non hanno?
«Siamo considerati un trampolino di lancio per film di tutti i tipi e questo significa che c’è in noi qualcosa di giusto. Quest’anno c’è lo slogan dei debuttanti. Se in concorso ne abbiamo 16 su 21 significa che sappiamo rinnovarci e che il nostro occhio gira rapidamente, osserva e cattura».
Il rischio di un così elevato numero di debutti?
«C’è ma credo che un festival si giustifichi solo se sa assumere rischi evitando di diventare una rassegna del noto. Offrire carte nuove vuol dire che siamo vivi e vegeti. E poi siamo capaci di trasformare in punti di forza caratteristiche che possono passare per limitazioni».
Ad esempio?
«La Sala Grande, che è la più vecchia al mondo. O la Sala Darsena, con la platea di cemento, che è di prima bellezza e modello di efficienza».
Che festival sarà?
«Ci sarà molta Italia ma questo non è frutto di pregiudizi o di atteggiamenti programmatici. Avremo modo di vedere cosa succede al cinema italiano oltre al fatto che corre a Cannes. Lì andarono in tre e tornarono in tre. Qui vedremo».
Novità logistiche?
«Abbiamo fatto uno sforzo per rendere il contorno più animato. Un passetto in questa direzione sarà la piccola Arena nel giardino del Casinò. Sperando di anticipare la destinazione dell’area del “buco”».
Ancora senza soluzioni.
«Se fosse coperto potrebbe diventare un piazzale».
Altri passi?
«Il Casinò ha bisogno di interventi, come il Des Bains. Il Festival è la festa dell’immaginazione, il Des Bains incarnava a meraviglia questo spirito».
Il Palazzo del cinema?
«Vorrei che la passerella rossa fosse permanente per ricordare che questa è la cittadella del cinema».
E i lidensi?
«Una frase di incoraggiamento da loro non l’ho mai sentita. Una frase a favore del Festival come parte essenziale dell’isola. Sono in fiduciosa attesa».
Tutto fa presupporre che ci sarà un quarto mandato.
«Il decreto riguarda la norma sui direttori per far sì che decadano insieme al Cda. Per il resto non dico nulla».
Ne sarebbe felice?
«Domanda subdola».
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