Barito, cacciatore di fotografie: giorni di attesa per il click perfetto

Tra Vodo e Borca c’è il suo capanno dove arrivano 38 specie di animali, uccelli, volpi o marmotte

BORCA

Centinaia di like per ogni foto che posta su Facebook. Decine e decine di fotografie di animali pubblicate su cartoline, libri e riviste. Artefice degli scatti è Mario Barito, cacciatore fotografico per passione.

Classe 1960, Barito è nato e vive tutt’oggi in valle del Boite. Da oltre 30 anni va a caccia di animali per fotografarli.

Da cosa nasce questa passione?

«Da bambino abitavo vicino ai boschi a Cortina e ho sempre girato per il territorio. Salivo sugli alberi, mi arrampicavo ovunque, e ho iniziato a trovare i nidi di uccelli o di altri animali. Mi hanno regalato una compattina analogica e da lì ho iniziato».

Quale è stato il primo animale che ha immortalato?

«Una marmotta. Avevo individuato il luogo dove c’erano le marmotte e mi ero attrezzato con il pane. Posavo il pane e attendevo che uscissero a mangiarlo per immortale la scena. Un giorno riuscii a fotografare la marmotta che prendeva il pane dalle mie mani. All’epoca mi sembrava una cosa straordinaria, poi in realtà in tanti anni ho dato da mangiare dalle mie mani a tanti animali».

Ha iniziato con una macchina analogica e poi è passato al digitale. Oggi che macchina usa?

«Oggi uso una Nikon. Ma all’inizio il passaggio al digitate non è stato così semplice. Ritengo che aver iniziato con l’analogico sia stata una fortuna, perché è con quel sistema che ho imparato a fare fotografie. Per riprendere un tasso e fare una bella foto, ad esempio, ho sprecato un rullino fotografico. Prima ho perlustrato le zone per capire dove posizionarmi per fare uno scatto all’animale. Poi sono stato tutta la notte in appostamento e quando il tasso usciva scattavo e su un foglio segnavo il numero di ogni scatto e il flash usato. Poi portavo il rullino a sviluppare e attendevo con ansia. Di 36 ne venne bene una. Ma così ho imparato. Oggi ti apposti e scatti in continuo è più facile, ma la differenza tra un cacciatore fotografico e un amante della fotografia la si vede».

Quale è la differenza?

«Per noi cacciatori fotolitografici lo scatto è solo il risultato finale. C’è prima la ricerca del luogo dove si possono individuare animali. C’è l’appostamento fatto di ore e ore anche al freddo, sotto la pioggia, o la neve, o con il vento o con il sole cocente. Io poi cerco di capire il risultato finale, mi creo lo sfondo e mi concentro sulla qualità della foto. Gli amanti delle fotografie cercano invece solo di fotografare un tipo di animale, per dire “ce l’ho”. Poi visto che gli animali sono tutti bellissimi le foto vengono anche bene, ma è la caccia che a me dà emozione».

Il suo capanno è il più richiesto d’Italia. Di cosa si stratta?

«Sì, ormai il mio capanno è il più famoso d’Italia. Arrivano 38 specie di animali diversi, tra uccelli, volpi, martore o marmotte. Avevo individuato un posto tra Vodo e Borca dove avevo visto che c’era un bel giro di animali. Il terreno è privato e ho chiesto al proprietario di creare un capanno e ha acconsentito. L’ho costruito con bancali di legno, legati con fil di ferro. Sopra ho messo un telo verde per mimetizzare il tutto e ho preparato le mangiatoie che sono spostabili a seconda dell’obiettivato che uno ha. Prima dentro avevo due posti, oggi ne ho tre. Vado ogni giorno a mettere il mangiare e aspetto che arrivino gli animali. Oggi è arrivato l’astore che si vede difficilmente, se non in cattività. È arrivata anche la martora che solitamente viene immortalata con le fotocellule».

Nel suo capanno accoglie tanti appassionati. Non è geloso dei suoi posti?

«No. Io amo trasmettere la mia passione. Ho anche dei giovani allievi che mi seguono. L’unica cosa che faccio fatica a rivelare sono i luoghi dei nidi perché ho avuto brutte esperienze in passato con delle persone che pur di far la foto hanno spostato i nidi. Questo non si fa. Io prima di tutto ho rispetto dell’animale e del suo habitat. Negli anni ho studiato anche le specie animali oltre che i luoghi».

Quale la soddisfazione più grande?

«Ne ho avute tante. Oggi con Facebook è tutto amplificato e mi chiamano da ogni dove. Il primo a credere in me è stato Stefano Zardini che dalle mie foto ha realizzato cartoline di animali e ne ero orgoglioso. Poi ho dato foto per libri, riviste, faccio due mostre all’anno. Aver fotografato il gufo mi ha riempito di gioia, ma anche con l’aquila sono stato contento. Il bello è la salita, capire dove andare, dove mettersi ed attendere, anche giorni o settimane, in un contesto paesaggistico unico al mondo. Gli animali sono stupendi e la caccia fotografica è un’emozione unica». —


 

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