«Basta fughe, dobbiamo restare uniti»
Dibattito acceso al convegno del Pd. La richiesta dei comuni referendari: «Fateci entrare in consiglio provinciale»
BELLUNO. Restare uniti, ma anche dare rappresentatività in Provincia ai comuni referendari per evitare che se ne vadano. Sono queste le esigenze emerse durante il dibattito organizzato ieri sera dal Partito Democratico per immaginare un futuro dopo Sappada. Il Pd ha avuto il coraggio di invitare soggetti con posizioni diverse ed è stato premiato da un confronto vivace, franco e propositivo. «Non vogliamo mettere la testa sotto la sabbia», ha esordito il deputato Pd Roger De Menech, «perché una comunità si riconosce nei momenti di difficoltà». E la perdita di Sappada lo è, anzi, il sentimento comune dopo il voto della Camera è quello di un trauma tra i peggiori capitati nel bellunese, proprio nei giorni in cui le classifiche piazzano la provincia dolomitica in vetta alla qualità della vita.
«La perdita di Sappada», dice il presidente della Provincia Roberto Padrin, «è un fatto grave che avrà ripercussioni in tutta Italia, non solo a Belluno». Padrin teme l’effetto domino degli altri comuni referendari, ma vede anche una provincia diversa dopo il 22 ottobre e, tra le mille difficoltà che non si possono negare, a partire dalla fuga del personale che impedisce a Palazzo Piloni di rivendicare subito nuove competenze, è ottimista rispetto al percorso sull’autonomia. Un viaggio lungo e tortuoso, ma nel frattempo: «Io mi batterò fino alla fine per mantenere unita questa provincia e cercherò di evitare in tutti i modi altri addii».
Tra gli invitati, il Pd ha scelto anche un comune che non ottenne il quorum al referendum “secessionista”. È il caso di Feltre, che votò nel 2014 e il vicesindaco Alessandro Del Bianco chiarisce subito: «Non è sufficiente constatare un disagio per tradurre una proposta». Del Bianco ha ripercorso la storia, cercando di capire come aveva reagito il bellunese in occasione di grandi traumi istituzionali come quello di Sappada. Il primo caso risale al 1197, quando i vescovi conti cercarono di contrastare il dominio nemico unendo Belluno e Feltre, ma funzionò solo per 260 anni. Il secondo trauma arrivò nel 1866 con l’unità d’Italia e l’annessione al Veneto. Un anno dopo Feltre e il Cadore fecero una petizione per disgregare la provincia, definendo Belluno “meschina”. Precedenti poco incoraggianti, ma Del Bianco si dice indignato soprattutto dal comportamento di Durnwalder: «Che è venuto a Cortina per fare calcio mercato. Adesso abbiamo due possibilità: aspettare la morte con la partenza di altri comuni referendari, oppure riorganizzare e ripensare la montagna veneta». Un “veneta” che non è piaciuto a tutti.
Più sofferto l’intervento di Ornella Noventa, sindaco di Lamon, il primo tra i comuni referendari: «Nel 2005 ero convinta che fosse importante votare per dare visibilità ai nostri problemi», spiega. «Dopo Sappada si è riacceso il dibattito e l’autodeterminazione dei lamonesi non può essere disattesa da chi amministra. Ma andare con Trento porterebbe benefici a pioggia, mentre la vera autodeterminazione si crea se lotto per i miei diritti. Lamon chiede che i referendari entrino a far parte del consiglio provinciale».
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