Battaglin e la maglia rosa strappata sulle Tre Cime. «Il Fedaia sarà decisivo»
Ricordi e analisi del vicentino, vincitore di Giro e Vuelta quarant’anni fa.
«Oggi non vedo fenomeni, ai miei tempi l’Italia aveva tanti campioni»

BELLUNO
Le montagne bellunesi evocano dolci ricordi a Giovanni Battaglin. Oggi 71enne, nel 1981 vinse Vuelta e Giro riuscendo dove “osò” prima di lui solo il mostro sacro Eddy Merckx.
«Presi la maglia rosa sulle Tre Cime di Lavaredo», ricorda con un pizzico di emozione, anche se il ciclismo moderno non rappresenta più il suo mondo.
Che ricordi ha del Fedaia?
«Nei miei anni al Giro l’ho affrontato sia in salita che in discesa. È una strada che non ammette improvvisazione, è altamente selettiva, che la si faccia in discesa o in salita. Se la classifica generale sarà ancora in bilico, domani ne vedremo delle belle».
Che ricordi ha delle strade in salita del bellunese?
«I ricordi più dolci sono legati alle Tre Cime di Lavaredo dove nel 1981 conquistai la maglia rosa che, scherzo del destino, portai fin dentro l’Arena di Verona. Proprio come succederà quest’anno. Vinsi a San Vigilio di Marebbe, poi il giorno dopo presi la maglia rosa sulle Tre Cime sfilandola a Silvano Contini. Mi piace ricordare anche l’arrivo a Pecol. Era l’anno prima, il 1980. Ero in gruppo, c’erano tutti i migliori. Prima dell’inizio della salita ho forato. Rimessa a posto la bici, ripartii di slancio. Prima ho ripreso il gruppo, poi l’ho staccato arrivando primo al traguardo che era fissato sul passo. Quel Giro mi lasciò qualche rimpianto, a posteriori resto sicuro che con una gestione diversa delle forze avrei portato a casa non solo quella tappa ma tutta la corsa, poi andata a Bernard Hinault».
Come è cambiato il ciclismo in questi anni?
«Oggi parliamo di un altro sport, per tanti motivi. Innanzitutto la tecnologia. Le biciclette di oggi sono dotate di strumentazioni all’avanguardia. Vantano un pallottoliere per gestire le marce. Ai nostri tempi ne avevamo sei a disposizione. Non bisogna sottovalutare poi un altro aspetto importante: le strade. Oggi vengono rimesse a nuovo proprio grazie al passaggio della corsa rosa, ai tempi nostri le buche la facevano da padrone. Altro aspetto determinante riguarda l’alimentazione. Le barrette energetiche di oggi garantiscono il supporto necessario in tempi rapidissimi, ai nostri tempi ci alimentavamo con i panini che prima di fare effetto richiedevano svariati minuti. E poi la logistica: mettiti a mangiare un panino in sella alla bici. Parliamo di mondi non diversi ma quasi opposti».
Ci sono altri fattori che condizionano una grande corsa a tappe come il Giro d’Italia?
«La gestione di una squadra fa capo all’ammiraglia che ha un ruolo determinante nella strategia di gara. Oggi più di ieri si corre di squadra. Ai tempi nostri non c’erano le radioline, i contatti con l’ammiraglia erano sporadici, anche casuali quando la strada non permetteva avvicinamenti. Si andava ad intuito, la strategia di gara non esisteva proprio. Serviva l’estro dei campioni. E ai miei tempi di campioni ce n’erano tanti. Hinault e Panizza furono protagonisti di un grandissimo Giro nel 1981, ho mosso i primi passi quando in gruppo c’erano Merckx e Gimondi per non dire Moser e poi più avanti Saronni, Argentin e Baronchelli. L’Italia era rappresentata da tanti campioni, non proprio come succede oggi».
Che momento vive il ciclismo italiano?
«Direi critico. Non ci sono più i campioni, del resto l’accesso al mondo dei professionisti è diventato alla portata di tutti e questi sono i risultati».
Chi vincerà il Giro 2022?
«Non vedo “fenomeni” in gara. Lo stesso Carapaz finora non ha dato l’idea di essere più forte degli altri. Ha dalla sua una squadra fortissima ma serve il guizzo del campione».
Battaglin cosa fa oggi?
«Mi dedico alla famiglia e all’azienda. Il ciclismo lo guardo ogni tanto in televisione ma non mi rappresenta più. Nessuno mi ha più invitato a vedere una tappa del Giro ma va bene così anche se in Francia gli ex ciclisti vengono invitati ogni anno al Tour. Io non chiedo niente a nessuno. Nei primi anni post carriera ho sponsorizzato qualche squadra, poi ho capito che era solo un bagno di sangue e ho abbandonato anche quell’idea
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