Belluno: cori fascisti in piazza Martiriper la manifestazione della destra
Un lungo tricolore e un solo coro “Boia chi molla”. Erano circa cinquanta i manifestanti di destra che hanno sfilato per le vie del centro in nome dell’unità d’Italia per poi essere accolti in Comune e in Prefettura. Polemiche in città
BELLUNO.
Un lungo tricolore e un solo coro “Boia chi molla”. Erano circa cinquanta i manifestanti di destra che ieri mattina hanno sfilato per le vie del centro in nome dell’unità d’Italia per poi essere accolti in Comune e in Prefettura. Il corteo è stato contestato da un comune cittadino. Identificato, potrebbe essere denunciato per ingiurie. Ma Belluno si è interrogata se fossero davvero necessari i motti fascisti e la croce celtica nel cuore della città medaglia d’oro alla Resistenza.
Ad accorgersene diversi cittadini. «Sono d’accordo con lo scopo della manifestazione anche se voto a centrosinistra, ma gli inni del Ventennio mi sembrano davvero fuori luogo», afferma Benito - esatto, proprio Benito - Ragnoli. Concorda Salvatore Capizzi: «Giusto il tricolore, ma forse si sta eccedendo nei toni».
Il corteo entra nel salotto buono della città dopo essere partito dal piazzale della stazione. Alcuni militanti sono arrivati appositamente da Roma, gli altri sono quasi tutti del Nordest.
Mentre cantano l’inno di Mameli a squarciagola, srotolano un tricolore da primato, lungo diversi metri. «L’Italia? A noi». E ancora: «Per ogni immigrato sottopagato c’è un italiano disoccupato». Gli ingredienti ci sono tutti: nostalgia, patriottismo, slogan, provocazioni.
In piazza dei Martiri i militanti vengono accolti con curiosità, anche perché la maggior parte dei bellunesi non è a conoscenza della manifestazione. Alcuni passanti, a loro volta, intonano l’inno. Ma la festa non è per tutti, anzi. C’è chi guarda alla manifestazione con perplessità e fastidio: «L’Italia sta andando male», dice Alfredo De Bon. «Troppi movimenti, troppi estremismi. Per rivendicare l’Unità d’Italia ci sono altri modi». Bruna De Salvador e Elisabetta Mognol si dicono perplesse per la simbologia: «Forse non era il caso, così prevale la logica dello scontro».
«Io sono anarchico», dice un ragazzo di Agordo. «Non ho parole». Tanti bellunesi però si professano neutrali: «Finché la manifestazione è pacifica non vedo particolari problemi», sintetizza un professionista seduto ai tavoli del Manin.
Intanto la discussione tra i bellunesi si allarga al siluramento di Fini dal Pdl, all’operato del Governo, al ruolo dell’opposizione.
In piazza dei Martiri il corteo si ferma per qualche minuto. Il tempo di ribadire alcuni concetti chiave nella terra del Carroccio: «Non siamo padani, ma siamo italiani». Non mancano invettive contro la Lega e i “comunisti”.
Tutto tranquillo fino alla fine, quando all’ultimo grido “Italia! A noi!” si fa avanti un uomo che vuole dire la sua. E la dice ad alta voce: «Vergognatevi».
Alcuni militanti gli si avvicinano velocemente, uno in particolare con fare minaccioso. Ma l’intervento della Digos e degli agenti in borghese della squadra mobile - che si mettono in mezzo - evita che la situazione possa in qualche modo degenerare.
Come reazione, c’è chi ricomincia a cantare l’Inno d’Italia. L’uomo del “Vergogna” viene identificato.
Poi una delegazione della Destra, guidata dalla battagliera Titti Monteleone, si dirige verso palazzo Rosso e la Prefettura. Ad accogliere i militanti in municipio c’è l’assessore Luciano Reolon, ex Progetto Nordest.
«Belluno ci ha accolto bene», afferma Monteleone. «C’era chi cantava l’Inno di Mameli con noi». Quanto alla contestazione ricevuta verso la fine, c’è l’intenzione di denunciare l’uomo per ingiurie.
Dal canto suo, l’uomo si difende. «Non ce l’ho fatta a non replicare. Mi è venuta dal cuore. Possibile? Hanno inneggiato al fascismo nella piazza dove sono stati uccisi molti partigiani. Sentivo la gente che mugugnava ma nessuno si è fatto avanti».
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