Belluno, De Bona (Comunità montana): «Voglio indietro gli acquedotti»
Servono 120 mila persone. Il debito di Gsp verso la Cm è di due milioni
Giorgio De Bona e l’acquedotto del Rio dei Frari
BELLUNO. «Chiedo la restituzione del maltolto, rivoglio indietro gli acquedotti della Comunità montana». Giorgio De Bona, presidente della Cm Belluno-Ponte nelle Alpi, è tra i creditori di Gsp e avanza quasi due milioni di euro dalla società che gestisce il servizio idrico integrato. Ma alla luce degli ultimi avvenimenti, De Bona ha deciso di andare alla radice del problema, chiedendo la cancellazione di una scelta politica che lui considera sbagliata per gli interessi del proprio ente, di quelli collegati, cioè i Comuni di Belluno e Ponte nelle Alpi e quindi di tutti i cittadini. De Bona porta con sè gli atti per dimostrare che Gsp si è preso i suoi "gioielli di famiglia", ovvero due acquedotti costati oltre 21 miliardi di lire (oggi varrebbero quasi il doppio) e capaci di dissetare circa 120 mila persone. Nel frattempo resta irrisolto il problema dell'esposizione di Gsp. Domani ci sarà un incontro tra i tecnici per arrivare a sciogliere il nodo della tariffa. La società ribadisce che quei soldi sono dovuti fin dall'inizio, ma se il problema fosse stato risolto prima, non si sarebbero accumulati gli interessi. Ipotizzando un aumento del 5% ogni anno, le bollette dal 2019 al 2031 serviranno solo a coprire il debito fatto lievitare dagli interessi. Nel 2009 l'esposizione di Gsp era di 22 milioni, oggi è quasi di 29 milioni di euro. Per pura curiosità si può calcolare che, per l'acqua, sulle spalle di ogni bellunese grava un debito di circa 138 euro, 192 per ogni utenza. Considerando che ogni italiano alla nascita "eredita" 30 mila euro di debito pubblico pro capite, la vita si fa sempre più dura. Dal 1975 al 2002, la Comunità montana Belluno - Ponte (che in passato aveva altri confini e altri nomi) ha realizzato due opere importantissime per l'approvvigionamento idrico. Il primo acquedotto è quello della Val Clusa, costruito in 17 stralci, con un costo di oltre 21 miliardi di lire (11 milioni di euro). L'opera serve la destra e la sinistra Piave fino a sconfinare a Valdobbiadene: 82 mila persone utilizzano quell'acqua. Il secondo acquedotto è quello del Rio dei Frari, che serve Ponte nelle Alpi, Farra e Puos d'Alpago e presto raggiungerà Belluno: 40 mila persone. Il costo dell'opera fu di 10,9 miliardi di lire (5,6 milioni di euro), ai quali si sommano altri lavori su serbatoi e reti per oltre un milione di euro. Tra il 2003 e il 2004 la politica creò l'Ato che decise di affidare il servizio idrico integrato a Bim Gsp. Le alternative sono elencate nello studio del primo piano d'ambito e l'affidamento alle Cm era una delle possibilità previste. «Con quell'accordo», ricorda De Bona, «tutti hanno dovuto buttare nel pentolone Gsp i loro acquedotti, solo che per qualcuno erano gioielli di famiglia, per altri erano miserie. Alcune comunità avevano investito moltissimo nell'acqua, altre quasi nulla. Questa situazione ha creato uno scompenso», osserva il presidente della Cm, «ma non è pensabile che chi ha investito tanto debba pagare quanto chi non ha mai fatto nulla». De Bona afferma di non voler «entrare nel meccanismo becero delle accuse, ma è evidente che ci sono stati degli errori, tecnici e politici, e a questi va posto rimedio». La Cm, come il Comune di Belluno, fece ricorso al Tar contro l'affidamento dell'acqua a Gsp, ricorso perso nel 2008, ma l'ente ha mantenuto la proprietà delle opere, comprese le prese. Si tratta di un nuda proprietà, i cui frutti vanno tutti a Gsp: «L'Ato ha deciso che anche i proventi della nostra acqua dovessero andare al Bim e sulla base di una imbecillità strutturale, i due sindaci (Belluno e Ponte) che rappresentano quegli investimenti, si trovano ad avere un peso al momento del voto identico a quello del comune più piccolo e meno organizzato. Con l'aggravante che ora si tenta di far entrare un socio privato: un'aberrazione straordinaria». Mentre Gsp incassava le bollette, la Cm ha continuato a gestire gli acquedotti fino a metà 2010 quando tutto è passato a Gsp. I costi di gestione sostenuti dalla Cm dal momento della chiusura negativa del ricorso (2008) al 2010, però non sono mai stati rimborsati da Gsp e la Cm avanza quasi 2 milioni di euro, credito riconosciuto da Gsp, che però non paga. A questo punto De Bona chiede la restituzione delle due opere «che abbiamo dimostrato di saper gestire». Se questo è federalismo. Infine un'analisi politica ci sta. «Consapevoli o meno, i sindaci fecero un grave errore. Quello fu il primo atto di federalismo ante litteram e allora sorge spontanea una domanda (posto che sono favorevole al federalismo): i nostri amministratori sono in grado di governarci? Se questo è il federalismo di cui sono capaci, allora è meglio il centralismo romano che tra filtri e lungaggini è certamente più affidabile».
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