Belluno: De Mas, vita in bianconero in un libro

«La Juve dentro»: trent'anni da super tifoso raccontati da un bellunese
Fabio De Mas
Fabio De Mas
Tre mesi di scrittura fiume. Per raccontare. E per emendare. «Quando è scoppiato lo scandalo delle partite truccate e la Juventus è stata retrocessa in serie B, mi sono sentito chiamato in causa personalmente: mettere sotto processo la squadra era come mettere sotto processo la mia vita».

Così racconta Fabio De Mas. Oggi, a distanza di quattro anni, il libro: "La Juve dentro". Duecento e passa pagine. Mursia editore. Un programma di presentazioni in giro per l'Italia. E lui, tre raccolte di poesie alle spalle, si ritrova in vetrina nelle librerie in qualità di tifoso. Anzi: di tifoso letterato.

Cos'è questo libro?

«La storia di una passione: che, come tale, non si può definire razionalmente. Quando, nel 2006, è scoppiato il caso, ho sentito un impulso forte: semplicemente, non mi andava che la mia passione fosse calpestata».

Potenza del calcio?

«Sì. Si fa presto a dire: è uno sport, cosa vuoi che sia. Non puoi cavartela così con il calcio: per il calcio è scoppiata una guerra, negli anni Sessanta, tra Honduras e Salvador; il maggior numero di suicidi in Brasile è stato registrato quando la squadra ha perso il mondiale. Grandi scrittori hanno dedicato i loro libri al calcio. L'Italia stessa sarebbe diversa senza il calcio. E' un fenomeno sociale. Insomma: come spiegare la felicità a un bambino? Io non gliela spiegherei: gli darei un pallone».

Con il calcio, però, si esagera anche, non trova?

«Certo: per quanto forte, il calcio non può occupare interamente la vita di una persona, com'è nel caso degli ultras».

Andiamo al momento in cui ha deciso di scrivere...

«Sì: il 2006. Sull'onda emotiva di quello che leggevo sui giornali ho provato a scrivere cosa significa essere un tifoso viscerale. Ho lavorato due, tre mesi. Poi ho iniziato a spedire il manoscritto a vari editori. Con uno c'è stata una trattativa di un paio d'anni: nel momento in cui, infine, il contratto non è andato a buon fine, è uscita la proposta di Mursia».

Riassunto?

«Un libro che ripercorre gli ultimi trent'anni della Juventus e, insieme, della mia vita. Il tutto visto con i miei occhi: dalla prima volta allo stadio, alle partite più belle viste, ai campioni che hanno vestito la sua maglia. Insomma: da quando volevo diventare Paolo Rossi ad oggi. Il fatto è che, a me, piacerebbe ancora adesso poter giocare con la Juve...».

Non è cambiato nulla in tutti questi anni?

«No. Quando vedo giocare la Juve in televisione, mi aumentano i battiti cardiaci: ho fatto la prova, con il cardiofrequenzimetro. E' che il calcio ti dà molto di più di una seconda possibilità: finito un campionato, se ne fa un altro. Ci ho anche provato: mi dico "stavolta guardo due minuti e basta". E poi sono già seduto. Quello che è cambiato sono i chilometri: a vent'anni 800 chilometri ti sembrano 500. A 40 sembrano 1.500».

Programmi per le presentazioni del libro, ora che è in tutte le librerie d'Italia? Incontri di campioni? Torino?

«Sì. Ma, per scaramanzia, preferisco non anticipare. Prima vediamo».

A proposito di scaramanzia: ce n'è tanta, in questo libro...

«Già. La passione prescinde da come va la squadra. Però, quando sei lì, soffri: ti illudi di poter cambiare il destino, ti convinci di essere d'aiuto con i tuoi rituali. Il mondo del tifo è pieno di scaramanzie, scongiuri, riti propiziatori».

Tipo?

«Ad esempio un amico mangia sempre le stesse cose, in occasione della partita. Sempre fino a che non si perde, ovviamente: una specie di filtro magico, come nelle fiabe. Quando non funziona, allora si cambia. Un altro fa mettere sul divano tutti in determinati posti: ma se la partita va male, ti fa alzare e cambia la disposizione, febbrilmente. Anche a me è capitato di andare allo stadio in giugno bardato di un cappottone di lana pesante: sudavo, ma portava bene».

Ma...e le donne che dicono?

«Eh. Una volta ho portato mia moglie fino a Torino. Lei è una tifosa tiepida, ma ha acconsentito di accompagnarmi. A pochi minuti dalla fine, ha detto la frase che non si deve mai pronunciare: "Bene, ormai è fatta, no?" In quel momento la Juve si è presa un gol. Non le ho più parlato fino a Bergamo. Povera. Poi mi sono reso conto...».

Formazione ideale?

«Degli ultimi 30 anni?».

Scelga lei.

«Sì. Allora: Zoff. Gentile. Cabrini. Furino. Montero. Scirea. Boniek. Tardelli. Rossi. Platini. Del Piero. Allenatore: Lippi».

Nonostante il brutto mondiale?

«Sì. Ha sbagliato a tornare. Aveva già dato».

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