Belluno: la Lega Nord dirà sì al referendum per l'annessione al Trentino Alto Adige

I vertici regionali del Carroccio danno il via libera al gruppo consiliare
BELLUNO. Il referendum provinciale per il distacco dal Veneto si farà. E' sempre più scontato l'esito del consiglio provinciale dell'11 gennaio e decisiva appare la determinazione raggiunta dalla Lega Nord nei giorni scorsi. In una riunione riservata organizzata lunedì a Conegliano, i vertici regionali del Carroccio si sono confrontati con i rappresentanti bellunesi per cercare insieme una via d'uscita "sicura". All'incontro c'erano, tra gli altri, il presidente della Provincia Gianpaolo Bottacin, il capogruppo a Palazzo Piloni Nunzio Gorza e il segretario provinciale della Lega Nord Diego Vello: il loro obiettivo era condividere la posizione da assumere l'11 gennaio insieme allo stato maggiore del partito, che ha risposto con il segretario nazionale Gian Paolo Gobbo e il presidente della Regione Luca Zaia. La decisione finale e a questo punto defintiva, prevede il voto positivo del gruppo del Carroccio, che dirà sì all'indizione del referendum provinciale. Ma la faccenda non è così semplice, per molti motivi. La Lega Nord si trova davanti all'ipotesi di una consultazione popolare che sarà letta come un giudizio sull'operato dello stesso movimento, che governa in Regione e in Provincia. Ma sarebbe l'ultimo dei problemi: il Carroccio si batte per il federalismo, mentre con il referendum si abdica a questa riforma, si dà per scontato che il federalismo non cambierà nulla, o per lo meno non arriverà in tempo. Non ultimo l'argomento: l'annessione del bellunese al Trentino Alto Adige farebbe perdere al Veneto una fetta consistente di territorio, ipotesi a dire il vero irrealizzabile, ma che non può certo far piacere al governatore Zaia. In sostanza il sì dei cittadini bellunesi sarebbe una sconfitta politica per la Lega Nord, ma in questa fase prevale il timore di perdere la faccia dopo anni di sostegno ai comitati referendari. E' stato proprio il movimento di Bossi infatti ad esaltare l'antico diritto "all'autodeterminazione dei popoli" e a favorire le suggestioni (finora restano tali) di Lamon, Sovramonte, Sappada, Cortina, Livinallongo e Colle Santa Lucia: Bottacin ha inserito i referendari nella sua lista elettorale e ha avuto un assessore attivo nei comitati "secessionisti". Dire di no adesso sarebbe stato quasi impossibile, anche perché tutti gli altri gruppi politici hanno annusato l'opportunità di mandare in crisi la Lega bellunese attraverso il conflitto di coerenza su questo referendum. Ma il giorno dopo del pronunciamento del consiglio provinciale i problemi non saranno finiti, anzi. E la Lega Nord lo sa, tanto è vero che il sì in consiglio provinciale non si trasformerà in indicazione di voto agli elettori: al referendum provinciale il movimento non si schiererà apertamente, lasciando "libertà di coscienza", o per lo meno questo è l'orientamento attuale. Anche perché tutti sanno che l'oggetto del quesito non è verosimile. Infine la spesa: il referendum provinciale costerà qualcosa come un milione di euro (4 mila euro a sezione), soldi che vanno sborsati dall'ente che organizza la consultazione, cioè la Provincia. Soldi che Palazzo Piloni non ha, non ne ha nemmeno per chiudere il bilancio normale e pare che il presidente Bottacin sia arrabbiato anche per questo. L'11 gennaio Bottacin dovrebbe adeguarsi al sì come il suo gruppo, ma in fase di dichiarazione di voto non mancherà di sottolineare la sua irritazione a riguardo. Pare che la strategia sia quella di dire: «Ok, si fa il referendum, ma qualcuno deve tirare fuori i soldi perché la Provincia non li ha». Sembra che il come e il dove trovare quei soldi sarà compito dei capigruppo, ma il referendum va comunque indetto al massimo entro un anno dal pronunciamento favorevole della Cassazione (attesa entro tre mesi dal consiglio provinciale).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi