Belluno punta alla Transumanza Unesco
BELLUNO. Anche ai piedi delle Dolomiti si sviluppa la transumanza. Addirittura dalle terre alte fino al mare. Per cui – afferma Silvano Dal Paos, presidente della Coldiretti – anche noi bellunesi abbiamo diritto al riconoscimento di queste pratiche come patrimonio dell’umanità, riconosciuto e tutelato dall’Unesco. La transumanza come patrimonio culturale immateriale dell’umanità è stata formalizzata, come candidatura alla protezione Unesco, ieri a Parigi dall’Italia come capofila insieme alla Grecia e all’Austria. «È una candidatura che ci riempie di orgoglio», spiega il viceministro alle politiche agricole, Andrea Olivero, «in quanto è l’unica per quest’anno del settore agricolo e valorizza una pratica della tradizione che rinnova il profondo legame tra uomo, prodotto e paesaggio».
La Coldiretti di Belluno e del Veneto ha rilanciato ieri la richiesta che tra i territori riconosciuti vi siano anche la provincia di Belluno e quella di Vicenza con l’altopiano di Asiago, oltre al Trentino Alto Adige, alla Lombardia, all’Abruzzo, al Molise e alla Puglia, proprio per il motivo che ha spiegato, sempre ieri, Olivero: si tratta di una pratica di allevamento ancestrale sì, ma orgogliosamente ancora oggi preservata dalle comunità dei territori rurali. La transumanza quale elemento culturale, dal forte contenuto identitario, ha saputo nei secoli creare forti legami sociali e culturali tra praticanti e i centri abitati da essi attraversati – si legge nella motivazione del dossier – nonché rappresentare un’attività economica sostenibile caratterizzata da un rapporto peculiare tra uomo e natura, influenzando con la sua carica simbolica tutti i campi dell’arte.
«È quanto verifichiamo anche noi in provincia», sottolinea Dal Paos, «abbiamo un centinaio di malghe, con almeno 300 addetti. E possiamo ben dire che la pastorizia è un’attività che sta riscoprendo l’interesse dei giovani, in particolare delle donne che non badando alla fatica guidano le greggi alla ricerca di prati nei periodi stagionali adatti».
Dalla Valle del Biois all’Alpago, passando per l’Agordino e arrivando fino in Comelico, sono sempre più numerosi gli under 30 che dopo una laurea o il diploma mungono in stalla, portano al pascolo i capi senza temere il freddo ma godendo di un lavoro a cielo aperto, a contatto con la natura e soprattutto sviluppando un rapporto con gli animali di assoluto rispetto. Spesso, appunto, sono giovani donne. Falcade, Agordo, Selva di Cadore, Livinallongo, San Gregorio nelle Alpi, Caralte e Valle di Cadore, sono decine gli itinerari della smonticazione che in alcuni casi diventa una vera e propria transumanza. A Lentiai, ad esempio, sono ben tre i fratelli che fanno i pastori: Emanuele, Guglielmo e Franco Dal Molin, ognuno con il proprio gregge.
La “desmonteghea” di Falcade, come le altre in giro per la provincia, fino a Sappada, certificano che questi sono eventi popolari di vera e propria festa, con tanto di attrazione turistica. Eventi che durano il fine settimana, mentre la transumanza continua per buona parte dell’anno e impatta con problemi a volte insormontabili. I tragitti tramandati da generazioni sono ormai diventate “tappe motorizzate” - denunciano i dirigenti Coldiretti - la cementificazione del territorio, unita alla burocrazia impediscono il transito degli animali che devono comunque nutrirsi. Per questo creare dei veri e propri “corridoi verdi” potrebbe essere un sostegno per un settore antico che resiste alla modernità ed è foriero di innovazione e di nuova occupazione. Sono circa un centinaio i pastori di nuova generazione che compiono lunghe o brevi traversate di terra – stima Coldiretti – tutelano un patrimonio zootecnico di oltre 55 mila pecore e quasi 17 mila capre, per un totale di poco meno di 72 mila capi, in regione; una frazione inferiore all’uno per cento del totale italiano (oltre 9 milioni di capi), ma non per questo non meritevole di attenzione. In provincia di Belluno – fa il conto rapido il presidente Dal Paos – i capi saranno almeno 10 mila.
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