Belluno: usava la lavatrice della scuola, bidello assolto dal peculato
Quarantenne dipendente di una scuola bellunese finito sotto processo per peculato perché accusato di lavare i propri vestiti nella lavatrice dell'istituto

Il caso di un bidello accusato di peculato è finito in un’aula del tribunale
BELLUNO. Approfittava della lavatrice della scuola per lavare anche i propri panni. Forse lui non immaginava di compiere un reato. Oppure non pensava di essere notato da altri che avrebbero poi riferito il tutto ad un assessore del paese. Fatto sta che un integerrimo amministratore di un paese del Bellunese ha subito segnalato la vicenda, con un esposto, alla procura della Repubblica. Ed il bidello di 40 anni, originario del Meridione, è finito a processo con la pesantissima accusa di peculato, rischiando non solo una condanna ipotetica tra i 3 e i 10 anni di reclusione ma anche di perdere il posto di lavoro. Anni di sacrifici e di "pellegrinaggi" da una parte all'altra d'Italia per acquisire punteggio in graduatoria ed ottenere un posto sicuro, avrebbero potuto essere vanificati da una leggerezza. Quella cioè di aver usato la lavatrice della scuola per la quale lavorava come bidello per lavare anche i propri indumenti. Ma ciò non è avvenuto. Il processo, in rito abbreviato, davanti al giudice delle udienze preliminari Giorgio Cozzarini, s'è concluso con un'assoluzione perché il fatto non sussiste accogliendo le tesi della difesa, rappresentata in aula dall'avvocato Annamaria Coletti. Il pubblico ministero Simone Marcon aveva chiesto la condanna dell'imputato a dieci mesi di reclusione. Per conoscere le ragioni dell'assoluzione del bidello bisognerà attendere il deposito delle motivazioni da parte del giudice. È possibile che, comunque, sia passata la linea difensiva che aveva sostenuto due tesi. La prima: il peculato è un reato che punisce il pubblico ufficiale che si appropria o usa un bene di proprietà pubblica. Ed il bidello non può essere qualificato come pubblico ufficiale bensì come incaricato di pubblico servizio. Inoltre non c'è danno economico alla pubblica amministrazione se il bidello metteva i suoi panni assieme a quelli che doveva lavare per servizio. Tant'è che l'amministrazione comunale competente non s'era nemmeno costituita parte civile nel processo contro l'imputato. La vicenda, piuttosto curiosa, ma che avrebbe potuto avere gravi conseguenze penali per l'imputato, risale ad un anno fa quando il bidello era in forza presso una scuola elementare di un paese del circondario di Belluno. Tra le mansioni a cui ottemperare, c'era anche quella di usare la lavatrice in particolari casi. Il punto è che il bidello nei vari lavaggi a scopi "scolastici" approfittava per mettere in centrifuga anche i propri indumenti. Ma qualcuno se n'era accorto e l'aveva detto ad un assessore del Comune. Il quale, dopo aver accuratamente verificato i fatti, inviò un dettagliato esposto alla procura della Repubblica. Le indagini sul bidello, finito sotto inchiesta per peculato, si chiusero con il suo rinvio a giudizio. Il peculato è perseguito nel nostro codice penale all'articolo 314 e prevede la condanna da un minimo di tre ad un massimo di dieci anni per il pubblico ufficiale che si appropria di denaro o beni di cui ha disponibilità in relazione alle funzioni del suo ufficio. Se il colpevole si è appropriato del bene solo momentaneamente allo scopo di farne uso e lo ha poi restituito all'ente in cui era in uso, la pena è prevista in riduzione notevolmente minore, cioè da sei mesi a tre anni.
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