Belluno: violentava la figlia, operaio condannato a sedici anni

Pesante condanna nei confronti dell'uomo, residente nel Bellunese ma per un anno e mezzo a Cittadella: 16 anni e 8 mesi di carcere
L’interno di un’aula del tribunale
L’interno di un’aula del tribunale
BELLUNO. Colpevole. Per il tribunale di Padova un cinquantacinquenne, operaio di origine rodigina con residenza in provincia di Belluno, è responsabile di aver violentato per dodici anni la propria figlia fin dall'infanzia.


E di aver maltrattato lei, insieme alla moglie e agli altri figli. Pesante condanna nei confronti dell'uomo, residente nel Bellunese ma per un anno e mezzo a Cittadella: 16 anni e 8 mesi di carcere, interdizione perpetua dai pubblici uffici ed obbligo di versare 150 mila euro alla figlia-vittima a titolo di risarcimento. Il tribunale di Padova ha quasi integralmente accolto le richieste del pm Giorgio Falcone.


Impassibile l'imputato che non ha mai incrociato gli occhi della figlia, rimasta ad ascoltare la lettura della sentenza avvenuta nel primo pomeriggio di ieri. Lei gli ha voltato le spalle per non vederlo quando è uscito dall'aula, scortato dalla polizia penitenziaria che lo ha trasferito nel carcere di Pordenone dove è rinchiuso in una sezione speciale dal 23 gennaio scorso. La ragazza si era costituita parte civile con l'avvocato Laura Vittoria De Biasi che ha speso poche parole di pacato commento: «È andata come ci aspettavamo.


Siamo soddisfatte per il riconoscimento del danno. Non tanto per l'aspetto economico, l'imputato è infatti nullatenente, quanto per il riconocimento morale della denuncia della mia cliente». L'imputato era difeso dalle penaliste Eva Vigato e Ruena Polato che hanno già preannunciato ricorso in appello. Per il pm pienamente attendibile è risultato il racconto della ragazza, nata nel 1990 e vittima di abusi più «lievi» quando aveva 4 anni e viveva con la famiglia a Vedelago nel Trevigiano. Poi quelle carezze proibite da un padre verso la figlia erano continuate nella loro nuova abitazione dell'hinterland di Cittadella e nella casa dell'Alpaghese.


«Carezze» sempre più intime che si erano trasformate in violenze sessuali non appena la piccola aveva compiuto sei anni. A soli 10 anni il primo rapporto completo. Ovvero il primo stupro, replicato con fredda determinazione quando l'uomo si trovava da solo con la figlioletta: in quei momenti le toglieva i vestiti con la forza e la immobilizzava. Puntuali erano state le descrizioni dei luoghi dove si erano consumate le violenze e le modalità dei «contatti» con l'utilizzo di specchi per assecondare il voyeurismo dell'uomo. Durante le udienze la madre aveva confessato che il marito aveva pure con lei gli stessi approcci sessuali. E come giustificava coi familiari l'imputato il suo frequente appartarsi con la bambina? «Ha le manine d'oro» diceva, sostenendo di farsi fare dei massaggi. Quando la ragazzina, ormai 16enne, ha voluto sottrarsi a quella perversa spirale, il padre-mostro ha cominciato a maltrattarla, facendola vivere in un clima di terrore. Solo nell'ottobre 2010 ha trovato la forza di denunciare rifugiandosi in un centro anti-violenza. Nel gennaio scorso, l'arresto nel Bellunese.

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