Beni confiscati, oltre 27.000 immobili e aziende sottratti alle mafie. La mappa

Sono oltre 27mila i beni confiscati alla criminalità organizzata: è il dato aggiornato al 31 dicembre 2015 e comprende anche una parte di beni sequestrati inseriti nel database dell'Agenzia nazionale. Le inchieste sulle mafie al nord hanno fatto crescere il numero dei beni confiscati soprattutto in regioni che fino a pochi anni fa non ne avevano. 
Inchiesta pubblicata in collaborazione con Confiscati Bene sui quotidiani locali del Gruppo Espresso (elaborazioni grafiche Dataninja, Silvio Falciatori; coordinamento editoriale Marianna Bruschi, Agl-La Cronaca Italiana)

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Palazzi, ville, alberghi. Persino una clinica in Sicilia. Se si mettessero insieme gli oltre 27mila beni sequestrati e confiscati in Italia formerebbero un piccolo Stato o comunque quasi la metà del patrimonio immobiliare di Roma Capitale. Un intero paese costruito con i proventi del traffico di droga, con le mazzette di una tangente o l’evasione fiscale. Se oggi questi beni sono passati nella gestione dello Stato o sono stati trasferiti a centinaia di enti locali il merito va a un’attività investigativa cresciuta notevolmente negli ultimi anni, che ha inseguito boss e colletti bianchi dal Sud al Nord dell’Italia, finanche all’estero.

 

Ecco la mappa dei beni confiscati realizzata da Confiscati Bene
(dati dell'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati)

La mappa dei beni confiscati

La mappa è navigabile per regioni, province e comuni: i colori sono più scuri dove le confische sono un numero maggiore, più chiari dove sono meno. Passando con il cursore o cliccando è possibile vedere il totale.

Le storie dall'Italia

Negli ultimi tre anni sono stati sottratti alla criminalità più immobili e aziende dei trent’anni precedenti. Un risultato testimoniato dai recenti dati dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, aggiornati al 31 dicembre 2015 e pubblicati in anteprima da Confiscati Bene, il progetto di attivismo civico e giornalismo investigativo che da due anni promuove trasparenza e open data nella lotta alla mafia. Il dato dei beni confiscati - inizialmente indicato in oltre 27mila unità - è stato corretto oggi, 16 maggio, a circa 23mila, in virtù di un aggiornamento dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati. Resta invariato rispetto a marzo il dato sui beni destinati: 10.881, di cui 10.052 immobili.

I beni immobili, vale a dire case, ville, palazzi, capannoni industriali o terreni sono 20.102 e rappresentano quasi il 90 per cento dello stock complessivo di beni requisiti o tramite misure di prevenzione patrimoniale, lì dove è sufficiente il sospetto che provengano da un arricchimento illecito, o in seguito a una sentenza di condanna penale.

Circa la metà degli immobili confiscati, 10.052, è stata destinata dall’Agenzia a chi si prenderà cura del loro riutilizzo, siano essi comuni, province, regioni, ministeri o forze dell’ordine. Una percentuale ancora troppo bassa che rende i beni vulnerabili alle occupazioni abusive, talvolta dai parte degli stessi familiari dei mafiosi, e al deterioramento. In gestione all’Agenzia restano poco meno di 10mila beni immobili, il cui elenco è stato già consegnato alle Regioni affinché propongano progetti di recupero, magari sfruttando i fondi europei del Pon Legalità 2014-2020, che stanzia 377 milioni di euro nelle aree meno sviluppate del Paese.

Sono 2.970, invece, le aziende appartenute a esponenti della criminalità organizzata o a loro prestanome. Rispetto ai dati del 2013 sono raddoppiate. La maggior parte sono scatole vuote, imprese solo sulla carta, utilizzate dalle mafie per riciclare denaro o frodare il fisco. Una volta crollato questo castello di illegalità, l’azienda fallisce o viene accompagnata dall’Agenzia verso la lenta morte della liquidazione. 

Una nuova geografia criminale

Dal 1982, anno di entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre, al 7 gennaio 2013, i beni confiscati in gestione all’Agenzia nazionale o già destinati a enti, ministeri e forze dell’ordine erano poco meno di tredici mila. Oltre l’80 per cento si concentrava nelle regioni del Sud e sulle isole.

L’evoluzione di inchieste giudiziarie nell’Italia centrosettentrionale, da Mafia Capitale ai blitz contro la ‘ndrangheta in Emilia Romagna, hanno in parte modificato la geografica dei beni confiscati. Oggi le regioni di origine di mafia, camorra, ‘ndrina e Sacra Corona Unita ospitano circa il 76 per cento di beni, mentre è salita la quota del Centro, dal 6,6 al 12 per cento in tre anni. Se si considerano le sole aziende il peso di Lazio, Abruzzo, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria è ancora più evidente: dal 10 al 16 per cento, a fronte di una diminuzione di quota del Nord dal 15 all'11 per cento. 

Roma (quasi) capitale

Il Lazio è passato da 645 a oltre 1.800 beni confiscati, tra immobili e aziende. Mafia Capitale e le inchieste del procuratore Giuseppe Pignatone hanno dato una spallata agli affari illeciti all’ombra del Cupolone. Roma è diventata la quinta provincia d’Italia per beni confiscati, la prima non del Sud. La Capitale ha scalato la classifica verso il triste primato di capitale italiana del riciclaggio immobiliare o imprenditoriale. E’ seconda tra le città per beni confiscati (809 beni di cui 278 aziende, che arrivano a 400 se si considerano quelle sequestrate), dietro l’inarrivabile Palermo (3.400). Suburra ha superato anche Reggio Calabria, Milano e Napoli. Il Lazio è una delle sei regioni che in tre anni ha fatto registrare l’aumento più consistente di beni confiscati, triplicando lo stock da 645 a 1.835.

Le altre sono Umbria, Valle d’Aosta, che fino al 2013 non ne aveva, Abruzzo, Sardegna e Toscana. Le inchieste sulle mafie al nord, soprattutto calabresi, hanno fatto crescere il patrimonio confiscato anche in Emilia Romagna, dove la novità è la provincia di Reggio Emilia, e Piemonte, anche qui triplicando i numeri. La geografia dei beni confiscati vede crescere soprattutto le province del Centro: Chieti da 5 a 109 beni; Perugia da 4 a 73 beni; Modena da 2 a 35; Siena e Arezzo, passati rispettivamente da 3 a 28 e da 6 a 71. Al Centro Sud irrompono nella classifica delle prime 15 province Trapani, passata da 386 a 1233 beni, e Latina, da 93 a 478. 

Le case popolari, i bar e i centri per immigrati: come cambiano i beni confiscati

A Trento i beni confiscati alla criminalità organizzata sono diventati alloggi popolari. Ci sono appartamenti, garage, locali. A Brescello vive da sempre con la sua famiglia Francesco Grande Aracri, fratello del boss Nicolino. E ai beni della famiglia Grande Aracri aveva tentato un assalto nel 2003 l’allora procuratore capo di Reggio, Italo Materia. Ma il tribunale rigettò la richiesta di sequestro e confisca avanzata dalla procura reggiana. I numeri cambiano con il passare del tempo. In Sardegna l'81 per cento dei beni ha un uso sociale, a Olbia le case sono state donate per gli alluvionati. Anche in provincia di Pavia, per 27 beni, ora c'è una destinazione sociale

La legge bloccata in Parlamento

Lo scorso 11 novembre la Camera ha approvato il disegno di legge di riforma del Codice Antimafia del 2011 e delle misure di prevenzione patrimoniale, oltre a una delega al governo per la riorganizzazione dell’Agenzia nazionale. Passato l’effetto Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione di Palermo indagata per una gestione ‘familiare’ dei beni confiscati e sospesa dal Csm, la legge si è impantanata al Senato. In Commissione Giustizia non è stata ancora calendarizzata, nonostante gli appelli di decine di associazioni antimafia, tra cui Libera, e del presidente dell’Aula di Palazzo Madama, Pietro Grasso. Tra le novità più importanti della norma: niente parenti dei giudici nelle aziende sequestrate e confiscate, estensione delle misure di prevenzione patrimoniale anche agli indiziati di reati di corruzione, concussione, peculato e caporalato (quindi, anche in assenza di condanna penale), possibilità di nominare dipendenti di Invitalia come gestori di beni sottratti alla criminalità, organizzata e non. “Negli ultimi mesi il Senato ha avuto un bel po’ da fare con la legge Cirinnà, ma mi sarei aspettato che il ddl fosse all’ordine del giorno della Commissione prima di Pasqua”, afferma Davide Mattiello, deputato del Partito democratico e relatore alla Camera. “Non c’è allarme per questo ritardo, considerato il sostegno del presidente Grasso a questo provvedimento, ma i numeri al Senato sono meno netti rispetto a Montecitorio e mi auguro - aggiunge - che alcuni punti fermi della legge non vengano modificati, come la confisca agli indiziati di corruzione, che è diventato un nuovo biglietto da visita per le mafie”. Attende notizie dal Parlamento anche il direttore dell’Agenzia nazionale Umberto Postiglione, che attende rinforzi da affiancare ai 99 dipendenti attuali, distribuiti in cinque sedi sul territorio nazionale. L’Anbsc è un organismo che ha sostituito l’agenzia del demanio nell’amministrazione dei beni confiscati. Dopo la confisca, anche se non definitiva, il bene passa allo Stato.

 

Ci vorrebbero 300 dipendenti, non solo da impiegati della pubblica amministrazione, ma manager, esperti in arte, archeologia, turismo ed energie rinnovabili, visto che i beni che gestiamo vanno dalle tigri dei boss alle Ferrari, passando per le pale eoliche di Nicastri”: afferma il prefetto, in carica dal giugno del 2014. “Da due anni abbiamo decuplicato il numero di beni destinati ogni anno. Nel 2015 ne abbiamo dati a comuni, ministeri e altri enti ben 3.850, tra immobili, aziende e beni mobili. Il Nord ci sta dando un grande lavoro rispetto al passato. La mia proposta è aprire altre sedi a Torino e Bologna, per affiancare Milano e Roma nelle gestioni per l’Italia Centro-Settentrionale. E poi a Bari e Catania per il Sud”. Il recupero completo dei beni confiscati, a vent’anni dalla legge sul riutilizzo sociale, è una sfida che lo Stato non ha ancora vinto del tutto, almeno stando ai numeri. “Esistono problemi oggettivi, che riguardano la destinazione di immobili di particolare prestigio. Non sia un tabù venderli - afferma Postiglione - e magari reimpiegare il denaro per opere tangibili, per la costruzione di una rete fognaria, per la manutenzione delle strade, per realizzare una piazza, opere non scontate soprattutto in certe realtà del Sud dove sono stato prefetto. La mafia potrebbe riacquistarli? Ma la mafia non è fatta da cretini, non ha intenzione di investire sul proprio territorio. E pure se volesse riacquistare case e ville che le sono state sottratte, lo Stato troverebbe gli strumenti per togliergliele di nuovo. Abbiamo una così scarsa fiducia nel potere della legalità?”.  

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