Bimbo morì in pista, maxi risarcimento

Si schiantò contro un albero sulla Tofana: due milioni di euro alla famiglia. Un anno ciascuno ai due imputati
Di Gigi Sosso

CORTINA. Cinque anni fa, come oggi. Andrea Rossato morì il 5 marzo 2011 sulla pista variante bassa del Canalone della Tofana. Dopo un salto, sul Canalino. C’è voluto tutto questo tempo, per arrivare alla sentenza di primo grado del giudice Coniglio: condannati a un anno di reclusione per omicidio colposo con pena sospesa Luigi Pompanin, presidente della Ista Gestione impianti a fune e Giuseppe Bisotto, l’accompagnatore del bambino veneziano di nove anni tesserato per i Nottoli Vittorio Veneto. Pompanin e la responsabile civile Toro dovranno pagare anche un maxi risarcimento danni morali di 2 milioni di euro: 800 mila per il papà Mauro e la mamma Alessandra e 400 mila per il fratello Giorgio. Le spese di costituzione di parte sono in tutto 42 mila euro.

Era stata ritirata la costituzione nei confronti di Bisotto, colui che con una dichiarazione ha chiuso la replica del suo difensore: «Sono distrutto, dopo tutto questo tempo. Ho fatto bene a preoccuparmi e a seguire i ragazzi oppure dovevo fregarmene come hanno fatto gli altri? Perché stasera dovrò spiegare alla mia famiglia come è andata a finire». Il pm Gallego e gli avvocati di parte civile Fogliata e Zampieron avevano chiesto di più: un anno e mezzo per Pompanin, uno per Bisotto e 3,5 milioni di euro. Un risarcimento che le difese - Ghezze e Boscarolli (l’unico al quale non è stata data la parola) per l’uno, Beltrame per l’altro e Coppa in rappresentanza della compagnia di assicurazione - hanno giudicato molto alto, sia nella proposta che nella sostanza, soprattutto se confrontato con quelle che sono le tabelle ufficiali. Non ci sono provvisionali e, quindi, somme da anticipare.

Passeranno 90 giorni, prima delle motivazioni, sulle base delle quali i difensori decideranno se presentare appello e come presentarlo.

L’ultima udienza è stata dedicata alle repliche, a cominciare da quelle del pubblico ministero, partita dai presupposti che la pista nera (difficile) era aperta in deroga, c’erano delle prescrizioni da seguire e Andrea Rossato un bimbo di nove anni, non un campione. Con tutto quello che significa, anche sul piano della sorveglianza necessaria. Quanto ai consulenti, nessuno discute l’onestà intellettuale di quello della difesa, Schiavon, ma la competenza sì.

Le parti civili si sono scagliate di nuovo contro gli investigatori del commissariato di Cortina, che hanno svolto le indagini: «Hanno detto cose false e, tra l’udienza del 21 gennaio e quella di ieri, è spuntato un nuovo testimone mai visto né sentito prima, che però era da un’altra parte. Anche un colpo di coda». E dire che il piccolo Rossato si sarebbe salvato se ci fosse stata una rete di contenimento davanti al bosco con quel larice dal grosso fusto accanto a una pista non solo pericolosa, ma anche segnalata male. Schermaglie con la difesa Pompanin e anche con il legale dell’assicurazione.

Le difese, che alla fine delle loro arringhe avevano chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste, hanno avuto l’ultima parola. Ghezze avrebbe voluto una perizia, anche perché manca la dinamica. Impossibile, invece, quella sul corpo del bambino morto per i traumi toracico e addominale, perché non c’è una salma da riesumare. La diagnosi è del medico legale, in quanto la procura non aveva chiesto l’autopsia. Beltrame è sembrato sicuro di ottenere l’assoluzione per il suo assistito: l’imputato doveva essere Luca Bonotto, che diede il consenso ai bambini di percorrere la pista incriminata. Condannati Pompanin e Bisotto e il primo anche al risarcimento.

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