Blackfin fa volare l’azienda di Taibon

L’ad Del Din e il socio Recchia puntano a raddoppiare i numeri
PM 2014-11-19 SEDE
PM 2014-11-19 SEDE

TAIBON. Innovare, raccontarsi, crescere. La lunga rincorsa di Blackfin non è ancora finita.

Ha superato il traguardo dei 10 milioni di euro di fatturato alla fine dell’anno, ma già si guarda avanti, alla terza fase. «Il limite – sostiene l’amministratore delegato Nicola Del Din – è davvero solo la nostra fantasia. Sono certo che questa nuova fase permetterà di accendere un importante riflettore su un prodotto fantastico, come il nostro occhiale in titanio, e su una storia tutta e veramente italiana, fatta di persone unite da una visione chiara del proprio futuro. Il nostro Neomadeinitaly. Sono orgoglioso di ciò che stiamo facendo e di come lo stiamo facendo». Oggi Pramaor, l’azienda che produce a Taibon Agordino gli occhiali Blackfin, è una piccola enclave nel mondo dell’occhialeria e nella realtà economica della montagna bellunese. Vi si trova un’interessante sintesi fra il titanio, materia prima giapponese, la visione filosofica, ma anche tecnologica, di Del Din e la saggezza e l’esperienza, nel tenere dritta la barra dei conti, del socio Giancarlo Recchia. Ma tutto ebbe inizio, come nella migliore tradizione nordestina, dalla voglia di fare dei genitori di Del Din.

«Mia madre, Maria Pramaor, è stata la diciottesima dipendente di Luxottica – prosegue Del Din – e nel 1971 ha deciso di mettersi in proprio con un suo laboratorio, terzista per l’azienda di Agordo. Erano gli anni in cui chiunque, anche senza precedenti esperienze imprenditoriali, ma con tanta voglia di fare e un po’ d’ingegno, riusciva a produrre occhiali. Gli affari cominciano ad andare così bene che mio padre lascia la direzione di una fabbrica di mobili di design e si unisce alla mamma; ma ben presto capisce che se si vuole andare avanti, in un mondo in cui una concorrenza sempre più spietata è in arrivo dalla Cina, bisogna differenziare il proprio prodotto, puntando sulla qualità».

Da qui l’idea del titanio?

«Sì, il titanio rappresenta l’evoluzione dell’occhiale in metallo. Nel 1990 mio padre inizia a pensarci e manda qualche tecnico in Giappone, dove già avevano tracciato la strada, per studiare materia e macchinari e fare formazione, perché non è semplice saldare e colorare il titanio. Arrivano i primi test e si parte. Ma mio padre muore nel 1998, dopo aver faticosamente fatto crescere l’azienda su questa idea, e restiamo senza una guida, proprio mentre i clienti del settore si stavano spostando in Cina. Il momento non è stato semplice, ma nel 2007 Giancarlo Recchia ha creduto nella mia visione e nel mio entusiasmo e, provenendo da tutt’altri settori, ha scommesso sul futuro della nostra azienda, che pure presentava più di un problema dal punto di vista finanziario».

Recchia unisce le figure classiche del manager d’azienda e del business angel: dopo aver avuto successo in altri ambiti, percepisce che questa idea degli occhiali in titanio può avere un futuro. Ma soprattutto capisce il sacro fuoco che anima Del Din e ne sposa la causa, lavorando su quella che è da sempre la sua materia, ovvero i conti. Non sono molte le aziende di medio-piccola dimensione a poter vantare bilanci tanto accurati e dettagliati, nonché solide basi economiche come Blackfin.

Recchia, che segue il suo intuito, entra con il 25% del capitale, un altro 25% è ad appannaggio di una società fiduciaria per investimento, il 50% è di Del Din. «Nel 2007 il fatturato era sceso a 600.000 euro (dopo un picco di 2,3 milioni nel 2004/2005), margini non ce n’erano, io avevo già cercato di vendere lo stock a magazzino. Poi la svolta: oggi siamo ad 80 dipendenti e 28 agenti diretti, vendiamo la collezione Blackfin in oltre 40 Paesi nel mondo (con particolare focus su Europa e Nord America) in modo diretto o attraverso distributori. Oltre a Italia, Austria, Germania, Spagna, Francia, Danimarca dallo scorso anno siamo presenti con distribuzione diretta anche in Svezia e Regno Unito. Il 90% sono montature da vista, l’80% va all’estero, di questo il 33% in Germania».

E la svolta si chiama Blackfin. «Certo, Blackfin nasce dalla miscela fra prodotto e comunicazione. Nel 2008 è solo una piccola collezione in titanio, venduta al costo doppio rispetto agli occhiali normali, una montatura di lusso che piace e si espande sempre di più. La fascia di prezzo al pubblico oggi va dai 300 euro in Europa ai 470 dollari negli Usa. Ma a gennaio 2016, ad esempio, abbiamo creato una linea ancora più esclusiva, con innovativi trattamenti superficiali in oro 24kt, ad un prezzo doppio, che ha avuto un successo straordinario. Perché un prodotto non bisogna solo farlo, ma anche saperlo comunicare».

Come si spiega questo successo? «Abbiamo smesso di lavorare come terzisti dal 2010, ci siamo concentrati sul nostro brand e sui nostri valori, lavorando duramente per trovare il modo più autentico per raccontarli. La crescita da 600.000 euro a 10 milioni, da 16 persone a 80+28 agenti in Europa in un certo senso sta tutta qui. Non dimenticando l’impegno straordinario di tutte quelle persone che, a ogni livello, hanno contribuito a rendere tutto ciò reale».

Ed ora?

«Restiamo con i piedi ben piantati per terra, ma il percorso lo abbiamo ben chiaro ed il limite è rappresentato solo dalla nostra fantasia. E adesso viene il bello con la terza fase».

Ovvero?

«La prima (2008-2011) è stata la creazione del prodotto, un bel pezzo di titanio come occhiale, super apprezzato. Poi c’era da dare un’anima a questo prodotto (seconda fase) e per farlo abbiamo passato molti mesi con Nicola De Pellegrini, consulente nella gestione dell’immagine aziendale, nonché architetto ed amico. È lui che ha disegnato, ad esempio, lo stand giudicato come il migliore al Mido del 2015, questi nuovi uffici ed il nuovo edificio a cui stiamo iniziando a lavorare. Ed ora siamo nella terza fase di Blackfin: un nuovo livello culturale e organizzativo in cui prodotto, comunicazione e marketing si integrano sempre più per elevare il posizionamento del brand nel panorama internazionale dell’eyewear. Lo si concretizza anche migliorando ulteriormente il livello culturale e il metodo organizzativo all’interno dell’azienda. A tutti i livelli e in tutte le aree».

Con quali obiettivi?

«Passare dagli attuali 145.000 pezzi a potenziali 600.000 grazie al nuovo stabilimento. Abbiamo un piano quinquennale stilato da Recchia che prevede un raddoppio del fatturato, con una crescita del 15% anno su anno».



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