Blindati nei palazzi delle istituzioni Ue «Volevano noi»
BRUXELLES. «Sono sceso dalla metropolitana alle 9.10 e la prima cosa che ho visto è stata la gente che correva». È iniziata così la giornata di Davide Berton, 28enne partito da Quero per lavorare alla Commissione Europea nei negoziati di allargamento dell’Unione ai Paesi candidati. Berton è sceso alla fermata di Arts-Loi, quella immediatamente prossima alla stazione di Maalbeek dove c’è stata la terza esplosione di ieri. In realtà l’ingresso delle due stazioni è distante solo poche centinaia di metri e l’ondata dell’esplosione è arrivata fin lì. «All’inizio ho creduto ad un attacco di panico, situazione che da novembre è frequente qui a Bruxelles. A volte qualcuno inizia a correre e tutti gli vanno dietro. Poi ho capito che era ben diverso. L’esplosione a Maalbeek è avvenuta mentre io ero a bordo del treno, pochi istanti prima della fermata e chi stava aspettando la metro ad Arts-Loi l’ha sentita distintamente. Per questo motivo sono scappati via».
Berton è andato subito nel palazzo della Commissione e da lì non si è più potuto muovere per tutta la giornata. Le istituzioni europee, infatti, hanno blindato i loro palazzi di Bruxelles: fino alle 14 nessuno è potuto uscire e solo i dipendenti stretti sono potuti entrare. I cellulari sono rimasti pressoché isolati per molte ore, ma tutto il personale ha ricevuto messaggi che invitavano a non lasciare il posto di lavoro e a rassicurare tempestivamente i parenti, in modo da limitare le richieste di informazioni dall’esterno. «Un messaggio diceva: “se siete per strada entrate nel primo palazzo delle istituzioni che trovate e non uscitene”», racconta ancora Berton, «e ci hanno anche detto di non venire al lavoro domani (oggi, ndr) e di lavorare da casa. Io avevo un volo per Venezia stasera (ieri, ndr) ma non so ancora come e quando tornerò a Quero per Pasqua».
Ad impressionare sono soprattutto le sirene: «Non ne ho mai sentite così tante, è pazzesco e incessante», dice Berton, ma usa parole simili anche Herbert Dorfmann, l’europarlamentare dell’Svp–Ppe candidato ed eletto anche a Belluno con il Bard.
Dorfmann è atterrato a Zaventem lunedì sera e ieri mattina è passato dalla stazione di Maalbeek mezz’ora prima dell’esplosione. Nel pomeriggio l’europarlamentare era ancora chiuso nel suo ufficio al Parlamento europeo: «Siamo bloccati a forza, ma in realtà nessuno pensa a uscire da qui. La stazione metro di Maalbeek è attaccata e voi non avete idea di quello che si sente. Le sirene delle ambulanze e delle forze dell’ordine non hanno mai smesso, come il rumore degli elicotteri. Abbiamo dovuto annullare gran parte dei meeting e di fatto siamo qui in attesa di poter tornare a casa, ma le informazioni che ci danno sono poche e arrivano solo dai media. Il traffico automobilistico, i treni e ovviamente entrambi gli aeroporti sono bloccati, il livello di allerta è al massimo. Non ho ancora deciso come tornerò in Italia. Avevo un volo per domani pomeriggio (oggi, ndr) ma mi sto accordando con un collega per andare in macchina fino a Monaco. Bisogna evitare il panico, non dobbiamo cedere alla strategia della paura, sforzandoci di rimanere lucidi».
Dorfmann è atteso nel bellunese domani, con una serie di appuntamenti diversi in Cadore dove discuterà di treni, di turismo religioso e dei problemi degli allevatori rispetto al prezzo del latte. Lui assicura che ci sarà, ma il turbamento è forte, perché è chiaro che quello di ieri era un attacco alle istituzioni europee: «La situazione è molto deprimente e preoccupante», commenta l’europarlamentare. «L’esplosione di Maalbeek, stazione della metro che si trova proprio davanti al nostro palazzo, era rivolta a noi, alle istituzioni dell’Unione europea. Volevano colpire qui: l’Europa nel cuore della sua capitale e delle sue istituzioni»
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