Bonato: la nostra uniforme significa pace
CONEGLIANO. Al principio è la montagna. Che non ammette scorciatoie, non perdona gli errori, chiede volontà, pretende rispetto e restituisce spirito di gruppo. È lì che gli alpini si formano, è lì che va cercata la loro essenza.
Sono undicimila, uomini e donne; non vengono più dalla leva, al Corpo arrivano per scelta. Non vengono più soltanto dalle regioni delle Alpi e degli Appennini, come in passato; si arruolano dalla Puglia, dalla Campania e dalla Sicilia e diventano eccellenti istruttori di sci e di roccia, anche se nel Dna hanno il mare. Questi undicimila professionisti vestono un’uniforme che oggi in Italia e nel mondo significa pace, solidarietà e competenza. Al comando delle Truppe Alpine è il generale di Divisione Federico Bonato.
Generale Bonato, chi sono gli alpini del Duemila?
«Sono uomini e donne che con la loro professionalità e preparazione sono in grado di lavorare in ambienti multinazionali, fianco a fianco con eserciti e soldati di altri Paesi. La loro professionalità, e l’addestramento che consente loro di agire in sicurezza in ogni situazione, costituiscono una grande risorsa per il Paese. Lo abbiamo visto in più occasioni, nelle alluvioni in Liguria come nelle nevicate che hanno bloccato interi paesi, nei terremoti. Con gli 11 mila professionisti delle Truppe Alpine, ci sono i 360 mila alpini dell’Ana, una forza straordinaria di intervento di solidarietà: nel 2014, gli alpini dell’Ana hanno fornito milioni di ore di lavoro gratuitamente, e raccolto milioni di euro per azioni di solidarietà. Questa per l’Italia è una risorsa potente».
In quali settori siete impegnati, in Italia?
«Siamo pronti a intervenire su qualsiasi emergenza. Stabilmente, lavoriamo nell’operazione Strade Sicure, nel soccorso sulle piste, e grazie alle 58 stazioni di rilevamento presenti in varie zone d’Italia anche nel settore meteo».
Essere alpino oggi richiede competenze specifiche. Come si formano?
«Un giovane che voglia entrare negli Alpini compie una scelta che richiede profonda convinzione, volontà, serietà e onestà. Sceglie di portare un’uniforme, e di portarla con i principi che questa esige. Se questo è il punto di partenza, addestramento e formazione poi faranno il resto».
All’estero in questi ultimi anni gli alpini sono stati impegnati in diverse missioni.
«Il 5° Reggimento della Brigata Julia è appena rientrato dal Kosovo, dove ha svolto addestramento delle forze locali. Siamo presenti in Afghanistan».
I genieri degli Alpini sono stati di recente anche nella Repubblica Centrafricana.
«A Bangui abbiamo costruito un ponte che ha fisicamente riunito una città che era stata spezzata in due dalla guerra civile. Un ponte della pace, che è anche un simbolo: essere alpini nel Duemila significa anche questo».
Qual è l’incidenza delle donne nelle Truppe Alpine?
«Come in tutto l’Esercito rappresentano circa il 7 per cento, e sono operative in tutti gli incarichi. Sono una componente irrinunciabile, e la loro presenza ci ha spesso permesso anche di superare situazioni difficili: penso ad esempio all’Afghanistan e al rapporto con la popolazione femminile».
Nelle missioni all’estero che rapporto si crea con la gente del posto?
«Non è facile, nonostante si lavori sempre affiancati dagli interpreti. Ma le azioni poi valgono più delle parole. Possono capitare anche cose curiose: ricordo in Afghanistan un gruppo di alpini che partì verso un villaggio, avevano caricato su alcuni asini medicinali e vari altri generi di prima necessità. Arrivati a destinazione, il capo del villaggio li guardò, poi si rivolse all’interprete: “questa tribù non l’ho mai vista, chi sono?”».
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