Boschi devastati, è allarme: «Il Veneto ancora fermo»

Zovi, ex comandante dei Forestali: Trento e Bolzano hanno avviato il recupero. Sull’Altopiano di Asiago il disastro ha colpito il 50 per cento degli alberi
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - CONVEGNO ACCADEMIA GALILEIANA.
MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - CONVEGNO ACCADEMIA GALILEIANA.



Da un convegno scientifico dedicato alla devastazione nell’area montana triveneta, tema attuale ma preso dal lato accademico, non t’aspetteresti l’arrivo di un forestale che la mette giù dura: «Tre metri oltre il confine del Veneto con il Trentino, il recupero dei boschi è partito subito dopo il disastro. Lo stesso è avvenuto a Bolzano. Con i contributi delle due Province, perché recuperare questi alberi costa di più, è difficile farsi strada nei boschi, servono macchinari appositi. Noi nell’Altopiano di Asiago ne abbiamo solo uno, che riesce a fare 100 metri cubi di legname al giorno. E vogliamo concludere entro due o tre anni? Mi rivolgo alla Regione: non ho ancora visto un aiuto concreto, materiale, tangibile. Io faccio il forestale, non il politico, ma questo quesito lo devo porre: abbiamo milioni di ettari devastati, anche chi vive in pianura ha bisogno di questi boschi. La politica batta un colpo, non l’ho ancora sentito».

Non è un intervento dal pubblico, è una relazione dal tavolo della presidenza. Siamo all’Accademia Galileiana, chi parla è Daniele Zovi, fino a due anni fa comandante triveneto del Corpo forestale dello Stato. E’ la seconda relazione della mattina, dopo quella di Cesare Lasen, già promotore oltre che presidente dal 1993 al 1998 del parco nazionale delle Dolomiti bellunesi. I due relatori si sono aiutati con immagini.

Zovi ha portato un filmato girato dal parapendio, in un equilibrio funambolico si suppone, da Fabio Ambrosini Bres, purtroppo assente (come assente era anche il professor Franco Viola, ideatore e anima del convegno). Vedere la devastazione da un’altezza di poche decine di metri, non ha niente a che fare con le immagini dal satellite che la Regione ha fornito in questi giorni. Campomulo, Marcesina, Campo Cavallo, Roana, Val D’Assa, Asiago, Foza, il disastro scorre sotto i piedi, mentre il parapendio sfiora le punte degli abeti superstiti.

Ciò non toglie che Feltre abbia avuto 20 milioni di danni, due terzi del verde urbano distrutto, con foto di un disastro impressionante davanti all’ospedale. Cinque comuni in provincia di Belluno e quattro in provincia di Vicenza hanno più del 50% dei boschi distrutti.

Sotto un vento di 200 km l’ora sono gli alberi più giovani che non hanno retto. L’80% dei danni subìti nel Primiero, per esempio, è da attribuire a boschi di impianto recente. Boschi di scarsa qualità, dice Lasen. E questo spiega perché i danni maggiori, concorda Zovi, sono stati inflitti all’Altopiano, dove i boschi sono stati ricostituiti dopo una guerra che ha visto un milione di persone vivere e morire in un territorio che oggi ne tiene 21mila. Tutti trincerandosi e scaldandosi con il legname del bosco. Oltre che bombardandolo.

Nel Cadore la guerra è passata sulle cime, le piante hanno più di 200 anni. Sull’Altopiano è rimasto in piedi solo il 20% degli alberi. Dopo la guerra sono state messe a dimora un milione di piante, la più grande riforestazione avvenuta in Italia e forse in Europa. Purtroppo con tre errori: piantumazione rettilinea, che in natura non avviene; tutto abete rosso, che ha radici superficiali; tutte piante della stessa età. Errori che si sono capiti settant’anni dopo, all’epoca tutta l’Europa faceva così.

«Ricostituire il bosco è operazione che va separata degli interventi di emergenza da affrontare subito», rileva Lasen. «Sullo scenario futuro bisogna riflettere. Evitare generalizzazioni e diversificare le piante, versante per versante». Zovi arriva al punto da ipotizzare per Monte Zebio «di togliere le piante cadute e lasciare che il bosco si arrangi».

Ma intanto i prezzi del legname sono crollati: 15 euro a metro cubo, meno ancora, contro i 50 euro di pochi mesi fa. La politica raccoglierà l’appello di Zovi? Il dibattito di ieri non l’ha fatto. Raffaele Cavalli, docente alla facoltà di Agraria, uno dei relatori del pomeriggio, ci ha solo confermato la costituzione di una cordata di imprenditori, sotto il fondo di investimento F2i, interessati a pagare le spese di recupero del legname, facendosi dare in cambio le ramaglie da bruciare. E lasciando i fusti delle piante alla vendita. Ma a chi?—



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