Ca’ Dolomiti, i videopoker non violavano la legge
BELLUNO. Le scommesse erano legali. Ma intanto Christian Boito si era visto sequestrare i totem di videopoker e aveva dovuto chiudere il Ca' Dolomiti, il locale accanto alla Motorizzazione civile. Ha dovuto cambiare mestiere e si è anche ritrovato a processo per raccolta illegale di scommesse. All'inizio dell'attività, era in società con un’altra persona, ma come legale rappresentante figurava lui: per questo gli è toccato ricorrere all'assistenza dell'avvocato Ripamonti del foro di Viterbo. Si tratta di uno specialista del settore slot machine, videolottery e poker on line, che sta collezionando assoluzioni in giro per l'Italia per conto di altri gestori di locali del genere, che sono stati accusati dai Monopoli di Stato di lavorare in maniera fuorilegge.
Nell’ultima udienza del processo, la vicenda è stata ricostruita dal maresciallo della Guardia di finanza che aveva coordinato le indagini preliminari chiuse il 10 agosto di sei anni fa. C’era stata un’operazione a livello nazionale per verificare se questa attività di gioco a distanza venisse svolta regolarmente oppure ci fosse qualcuno che non si comportava nella maniera adeguata. L’azienda concessionaria dei terminali per il videopoker era la Millennium ed era la Trends a fornirli materialmente. La contestazione delle Fiamme gialle riguardava il fatto che si potesse giocare a videopoker solo da casa e non al bar o in un locale come il Ca’ Dolomiti. Era scattato il sequestro di tutte le apparecchiature elettroniche e, in mancanza di quelle, Boito aveva dovuto spegnere tutto e abbassare la saracinesca. Fine dell’attività e vai con la ricerca di un altro mestiere. Da aggiungere che quel locale di via Tonegutti, accanto al centro commerciale ha cambiato diverse volte vocazione.
Una volta terminata la deposizione, il pubblico ministero è stato il primo a chiedere l’assoluzione dell’imputato per il reato che gli era stato attribuito, anche se solo per insufficienza di prove. Non era stata raggiunta la prova che il reato fosse stato commesso. Ma Ripamonti è andato anche oltre. Dopo aver prodotto una ricca documentazione, compressa in un dvd ha ripercorso la vicenda, sottolineando un aspetto fondamentale: non c’è stata alcuna intermediazione da parte del titolare dell’attività e suo assistito. Non era Boito a pagare le vincite. Il giocatore attivava dei conti di gioco, che potevano salire o scendere, a seconda della fortuna o del talento. Sempre giocando responsabilmente.
C’è anche un decreto legge, il numero 70 del 2010, successivamente convertito in legge che ha chiuso qualsiasi tipo di discussione. Senza contare che Boito ha sempre pagato le tasse dovute e non ha mai provocato alcun danno allo Stato. Inevitabile la richiesta di assoluzione, perché il fatto non costituisce reato. Esattamente quella pronunciata dal giudice Riposati, alla fine di una breve camera di consiglio, oltre al dissequestro delle macchine. Una volta assolto, Boito non ha potuto non ripensare alla disavventura che gli è capitata e a tutto il tempo che c’è voluto, per dimostrare la propria innocenza. È lui ad aver subito un danno consistente e non si può escludere una causa civile contro chi gliel’ha provocato.
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi