Calano i residenti, aumentano gli anziani

I dati resi noti dalla Provincia sono molto preoccupanti. Si perdono più di mille abitanti ogni anno, oltre 6 mila dal 2007
BELLUNO. Inarrestabile il calo demografico in provincia di Belluno. In 10 anni, dal 2007 al 2016, si è passati da 212.131 residenti a 205.781. Una perdita di ben 6.350 abitanti (-3%), la metà dei quali soltanto negli ultimi quattro anni. Un calo iniziato 36 anni fa: nel 1981 infatti, i bellunesi erano 220.030, uno dei dati maggiori a memoria di statistica. Da allora la quota è andata in pressoché costante diminuzione, fino a un dato che deve invitare a riflettere: nel corso del 2016 la provincia ha perso 1.075 abitanti.


I dati arrivano dall’ufficio statistica della Provincia di Belluno e rendono una fotografia purtroppo lucida e impietosa dello spopolamento e dell’invecchiamento. Dati pericolosi per un territorio geograficamente difficile. Un allarme che da anni viene lanciato, ma che a oggi non ha portato ad azioni significative per cercare di invertire una tendenza che nel giro di pochi anni rischia di mettere in ginocchio il sistema economico oltre a quello sociale bellunese.


I residenti.
Se una leggera crescita c’è stata, si parla di numeri a una cifra. È il caso di comuni come Limana, Borca e San Vito di Cadore, Sedico, Livinallongo, Vodo, Seren del Grappa, Sappada, Vallada agordina, Pieve di Cadore, Mel e Belluno. Per tutti gli altri la flessione è perlopiù a doppia cifra. In crisi realtà che abbracciano l’intero territorio, da Cesiomaggiore a Lozzo, da Falcade a Calalzo, da Feltre a Cibiana. E non si tratta soltanto di saldo negativo tra nascite e morti o di trasferimenti in altri comuni. Sono fasce intere di età che vengono kentamente a mancare.


Mancano i giovani.
A mancare all’appello, in questo arco temporale, sono state le fasce dei giovani, in costante diminuzione negli anni. Dal 2007 al 2016 i dati parlano chiaro: i nuovi nati sono calati di 300 unità; ci sono 1.779 under 14 in meno e 144 tra i 15 e i 24 anni; i residenti tra i 25 e i 34 anni sono scesi di 6.305 unità e lo stesso vale per la fascia tra i 35 e i 44 anni (-7.459 residenti). Gli over 65, per contro, sono cresciuti di oltre 6000 unità insieme alla fascia dei 45-54enni (+3.500). Insomma, si è creata in 10 anni quell’inversione demografica per cui sparisce la forza lavoro e aumentano i pensionati. E questo è uno degli aspetti più preoccupanti di questo andamento demografico. Se a lungo andare non ci saranno più ragazzi in età lavorativa, come si potrà sostenere l’economia bellunese? Anche gli stranieri in questi anni sono calati (anche se i numeri non sono stati mai così importanti come in altre province venete). E allora? Il sistema rischia di implodere.


L’indice di vecchiaia aumenta paurosamente.
Il rapporto tra la popolazione anziana (over 65 anni) e la popolazione più giovane (0-14 anni) raggiunge il top nel più piccolo comune di Zoppè di Cadore, dove è pari a 646,2: per ogni giovane ci sono 646 anziani, in una realtà che conta 229 residenti. Va poco meglio a Gosaldo, dove l’indice è pari a 416 (il più basso della provincia).


E cosa dire del tasso di dipendenza, cioè l’indice che calcola quanti individui ci sono in età non attiva ogni 100 in età attiva e che fornisce indirettamente una misura della sostenibilità della struttura di una popolazione? A Cibiana è pari a 92,9 (il più alto) contro il 49,8 di Borca di Cadore (il più basso, si fa per dire). Comunque sia, l’indice è sempre negativo, vale a dire ci sono troppi anziani rispetto alle fasce da zero a 40 anni.


Calano le famiglie.
In netto calo anche uno degli elementi fondamentali su cui si basa una società, vale a dire la famiglia. Dopo il picco più alto registrato nel 2010, dove si sono raggiunti poco meno di 96 mila nuclei, c’è stato un lento declino che ha portato a toccare nel 2016 quota 94.145.


Crollo anche delle convivenze, che passano da 147 a 120. Anche i componenti delle famiglie sono diminuiti, passando dai 2,3 del 2003 ai 2,1 del 2016.


Ci si sposa meno, si fanno meno figli, si abbandona la montagna, perché le possibilità lavorative e i costi non sono spesso sostenibili in un momento di crisi come quello attuale dove, magari, almeno uno in famiglia è senza un impiego. Urge una presa di coscienza generale di tutto il territorio su questo problema, per garantire un futuro a questa provincia.


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