Calo dei nuovi nati, nel Bellunese erano 635 in più vent’anni fa

Dal 2004 al 2024 in provincia di Belluno è stato registrato un deficit del 37%. Tra le cause impiego precario, salari bassi e costo della vita

Paola Dall’anese
Culle sempre più vuote in provincia di Belluno
Culle sempre più vuote in provincia di Belluno

In vent’anni i nati in provincia di Belluno sono diminuiti del 37,4%: sono passati dai 1.699 del 2004 ai 1.064 del 2024 (–635). In calo anche i nati da genitori stranieri: da 124 (il 7,3% dei nati) a 103 (il 9,7%).

I nati da genitori italiani sono diminuiti del 39%, quelli da genitori stranieri del 17%. Numeri che vengono da Adico che rielabora dati Istat e che evidenzia come nei nostri territori «i servizi a vantaggio delle famiglie e dei bambini ancora siano una utopia», protesta Carlo Garofolini.

Nel 2024 non ci sono state nascite a Cibiana, Ospitale di Cadore e Zoppè, mentre c’è stato un calo di oltre l’80% a Colle Santa Lucia, Rocca Pietore e Vodo di Cadore. Gli unici dati positivi che emergono sono quelli di Cesiomaggiore, Lamon, Limana e Selva di Cadore, dove c’è stato un leggero aumento di qualche unità.

Dati che fanno tremare i polsi nel contesto generale di una provincia che è parca di bambini e ricca di anziani. Un fenomeno che vede tra le cause il fatto che «la carenza delle strutture del lavoro e dei servizi per l’infanzia e le famiglie è nemica della maternità, della fecondità e della natalità. Sono così ostili da modificare rapidamente anche il costume riproduttivo degli immigrati.

Le comunità bellunesi non sono amichevoli nei confronti dei bambini e delle loro famiglie, siano esse certificate da un matrimonio oppure no», analizza il sociologo bellunese Diego Cason, che evidenzia con rammarico la mancanza di interesse da parte della politica.

«Questo fatto non ha alcuna rilevanza politica, non interessa a nessuno, malgrado le sue conseguenze siano e saranno devastanti. Qual è il futuro per quelle comunità dove nascono meno di cinque bambini l’anno?».

Il 70% dei giovani vuole figli

La voglia di fare figli e creare una famiglia da parte dei giovani però c’è, secondo Cason.

«Sette giovani su 10 vorrebbero almeno due figli, ma quasi l’80% delle donne teme conseguenze negative per il proprio lavoro in caso di nascita di un figlio. Il problema è che non ci sono le condizioni per realizzare questo progetto, anche se la denatalità è un problema avvertito come urgente dal 74% degli italiani (41% abbastanza urgente, 33% molto urgente) e si scontra con il desiderio di avere figli».

Le cause

«Le principali cause della crisi della natalità percepite socialmente», spiega il sociologo, «sono gli stipendi bassi e l’aumento del costo della vita (70%), l’instabilità lavorativa e la precarizzazione del lavoro (63%), la mancanza di sostegni pubblici per i costi da affrontare per crescere i figli (59%), la mancanza di servizi per le famiglie diffusi e accessibili a tutti (57%) e la paura di perdere il posto di lavoro (56% di cui il 61% tra le donne). Il problema viene avvertito anche dagli under 30, pur con un livello di urgenza inferiore rispetto alla media del totale (66% rispetto al 74%)».

I percorsi di studio prolungati - se uno segue l’iter universitario - portano le persone a un accesso al mondo del lavoro non prima dei trent’anni.

«L’accesso al lavoro stabile o precario richiede un periodo di consolidamento delle scelte poiché è raro che un giovane diplomato laureato o dottorato ottenga un lavoro a tempo indeterminato ben pagato immediatamente dopo aver concluso gli studi. Il risultato è che negli ultimi decenni cala il numero medio dei figli per donna e aumenta l’età media della mamma alla nascita del primo figlio, con il conseguente fenomeno della contrazione dei secondi figli e di una diminuzione drastica dei terzi figli e oltre», rileva Cason, evidenziando che «aumentano le donne senza figli, che sono 1 su 4 per le nate nel 1980 (dato stimato per la fine della vita riproduttiva), circa il doppio rispetto alla generazione del 1950 (erano l’11,1% delle donne in età riproduttiva). Il fenomeno è legato anche alla diminuzione del tasso di fecondità sotto i 30 anni e alla fine il rinvio protratto si traduce nella rinuncia definitiva ad avere figli».

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