Calzature Olivotto: una tradizione di famiglia da cinquant’anni

La storia del negozio attraversa quella di Longarone e risale a Felice che era calzolaio prima del Vajont

Mezzo secolo di storia per le Calzature Olivotto che hanno accompagnato i longaronesi dai tempi della ricostruzione fino all’era dei social. Il negozio, che si trova in piazza 9 ottobre, si prepara a festeggiare in grande stile. Come è iniziato tutto?

«Tutto è iniziato con mio nonno Felice Olivotto da Davestra di Ospitale di Cadore», racconta la titolare Laura Olivotto, «aveva un laboratorio di calzolaio in via Marconi a Longarone, faceva tutto a mano, poi è stato spazzato via dal Vajont. Allora è tornato ad Ospitale e si è dovuto reinventare come ambulante, girando le frazioni longaronesi che non erano state toccate dal disastro. Con la fine degli anni sessanta sono arrivare le prime licenze commerciali della rinata Longarone e così la bottega ha avuto varie sedi, seguendo il percorso della ricostruzione».

Come erano quelli anni?

«Prima sono stati realizzati gli edifici vicino al municipio», aggiunge la madre Maria Grazia Vaina, «il negozio è stato aperto nell’autunno 1969 nello spazio dove ora si trova il barbiere Piero, poi ci siamo spostati più avanti (dove poi c’è stato il negozio De Bettio) fino ad arrivare alla sistemazione attuale nel 1977. Quando mi sono sposata con Ilario Olivotto, agli inizi degli anni settanta, il centro di Longarone era solo una grande distesa di ghiaia. Poi sono nati i nostri figli Laura e Fabio».

Com’era essere commerciante allora?

«Era un’altra epoca. Ci ricordiamo bene negli anni ottanta il venerdì, giorno di mercato. Si apriva alle 8 e c’era la gente fuori della porta che già aspettava. Una volta era tutto più semplice: le pantofole erano solo rosse e blu e c’erano poche marche di scarpe. C’era più comunità: quando c’era un qualsiasi matrimonio tutti sentivano l’esigenza di comprare il vestito nuovo e la scarpa buona per la festa. C’era un senso si appartenenza e fierezza di essere clienti. Ora la società è cambiata e tutti sono più esigenti, meno disposti ad aspettare e vogliono tutto subito».

La tradizione familiare è una costante della vostra attività.

«La ditta è sempre stata portata avanti dalla famiglia al 100%. Prima Felice e la moglie Vittorina Rizzo. Felice è restato fino all’ultimo giorno che ha potuto (è morto nel 2009). Poi Ilario e io (in teoria in pensione ma che non mancano mai di passare in negozio a dare una mano, ndr) infine Laura, titolare da poco più di 10 anni. Anche nostro figlio Fabio ha continuato e adesso gestisce con la moglie un negozio collaterale a Ponte nelle Alpi che avevamo aperto negli anni 90. I nostri figli da bimbi sistemavano le scatole, “respirando” sin da subito commercio. Il sabato pomeriggio, quando erano ragazzini, a volte dovevano aiutare in bottega piuttosto che uscire con gli amici. È sicuramente un orgoglio per me e mio marito avere questa continuità».

Dopo 50 anni di esperienza, come è essere un commerciante ora?

«Si va avanti grazie sopratutto a due cose, una è l’innovazione tecnologica, ovvero usando i social per gli annunci e le promozioni. Questo strumento funziona tantissimo: circa 9 clienti su 10 sono attirati perché hanno visto le foto che ho messo online dei prodotti. Poi c’è il valore aggiunto delle persone: qui è come essere a casa, c’è una particolare esperienza d’acquisto. Bisogna saper coccolare il cliente, scambiare consigli e confidenze a volte il nostro lavoro è come essere un prete. Il commerciante deve metterci la faccia e dare tutta la sua esperienza umana e professionale, qualità che non si possono trovare con gli acquisti nei grandi centri commerciali o online». —
 

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