Campiello, a Belluno è Corona show
BELLUNO. Unica assente, giustificata (problemi di salute), Fausta Garavini. Gli altri quattro c’erano tutti. Compreso quel Mauro Corona che, sin dal suo arrivo, ha inevitabilmente calamitato l’attenzione e i sorrisi del folto pubblico che ieri pomeriggio ha gremito la terrazza dell’Hotel Astor per l’incontro con gli scrittori finalisti del Premio Campiello.
Graziata (solo inizialmente) dalla pioggia, la passerella degli autori candidati al prestigioso premio letterario si è aperta con il consueto saluto del sindaco Jacopo Massaro, che ha evidenziato come «la cultura in generale e, in questo caso, la letteratura in particolare rappresentano un volano sociale, ma anche turistico, sul quale la città di Belluno vuole investire. Per questo motivo avere l’onore di ospitare il Premio Campiello deve essere motivo d’orgoglio per tutti».
Gian Domenico Cappellaro, presidente di Confindustria Belluno Dolomiti ha invece ricordato che «è la prima volta che un premio prestigioso come il Campiello viene a Belluno e approfitto dell’occasione per rivolgere gli auguri agli autori», non senza elogiare la città come «la più bella d’Italia. Grazie a tutti, in primis a chi ci ha aiutato a organizzare questa serata come i nostri sponsor Unifarco, Da Rold trasporti, Ina Assistalia e Bortoluzzi mobili due».
Cerimoniale, manco a dirlo, rivoltato come un calzino quando il moderatore della serata, il giornalista RadioRai Giorgio Zanchini, ha consegnato il microfono agli autori e a prenderlo è stato Mauro Corona che, anfibi ai piedi, sigaro in bocca e bandana avvolta sulla testa, a sorpresa, ha retto a stento la commozione ricordando il suo legame con Belluno, «una città particolare per me, per tutti gli ertani: abbiamo sempre gravitato su Belluno. Venivo giù spesso, anche per altre faccende, ovviamente: cinque processi, tre per bracconaggio e due per ubriachezza molesta. Qui c’è il tribunale».
La terrazza dell’Astor si riempie di sorrisi, prima che a riprendersela siano le parole, più serie stavolta, di Corona. «Belluno mi ha fatto battere il cuore, oggi più che mai, per offrirmi questa sorta di riscatto personale. Ringrazio, ovviamente, la giuria letteraria che ha avuto il coraggio di cacciarmi in cinquina. Le cose sono due: o si sono sbagliati o questo libro vale qualcosa».
Altre risate mescolate agli applausi. Poi Corona si fa serio, quasi cupo nel raccontare il suo libro, “La voce degli uomini freddi”. «L’anno scorso ricorreva il 50° del Vajont, in me è nato spontaneo un elogio alla Erto e agli ertani, a un popolo che non esiste più, un popolo che non era segnato nemmeno sulle carte geografiche. Lassù si costruivano tutto da soli e la loro forza motrice era il torrente, che non aveva mai fatto male a nessuno, finchè qualcuno non ha deciso di fermarlo. Non ho voluto fare polemiche, ce ne sono state tante, non ho voluto arrabbiarmi, ma ho valuto raccontarne la storia come una fiaba. In modo che facesse ancora più male».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi