Car Edil finita in liquidazione Carraro chiede 600 mila euro

ALANO DI PIAVE. È a processo con l’accusa di aver emesso fatture false al fine di ingrossare il fiume di denaro che alimenta gli affari della ’ndrangheta a Nordest. Per questo motivo, all’imprenditore riesino Ferdinando Carraro, 59 anni, era stato vietato di gestire qualsiasi attività economica per 12 mesi. Solo che ora la Cassazione dichiara illegittimo e cancella quel divieto, e Carraro chiede i danni: 600 mila euro per aver dovuto sopportare «undici mesi di inferno, la morte civile per un imprenditore», con la sua Car Edil Srl con sede ad Alano di Piave finita in liquidazione.

Estorsioni, botte, minacce per trapiantare anche a Nordest il potere della ’ndrangheta. Ma non solo: anche un imponente giro di fatture false che davano alle ’ndrine il modo di ripulire denaro sporco. È questa la cornice della maxi-indagine, portata avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Venezia, che tocca tutto il Veneto. Gli indagati sono 54, e tra loro anche Ferdinando Carraro.

Secondo l’accusa – il processo è cominciato mercoledì scorso a Venezia – l’imprenditore avrebbe emesso false fatturazioni per 160 mila euro rilasciate ad aziende direttamente controllate dal sodalizio ’ndranghetista che farebbe capo ad Antonio Gensio Mangone e ai fratelli Michele e Sergio Bolognino, collegati alla ’ndrina cutrese del boss Antonino Grande Aracri.

Accuse che l’imprenditore riesino contesta e minimizza – secondo il suo avvocato, le fatture false sono di importi bassi e senza alcuna consapevolezza dei collegamenti con la ’ndrangheta – e nel frattempo porta a casa una sentenza pesante a suo favore: l’inibizione dall’attività imprenditoriale comminatagli il 13 marzo del 2019 era del tutto illegittima, secondo la Cassazione, perché i fatti contestati sono lontani nel tempo (risalgono al periodo 2013-14) e quindi senza alcun rischio dimostrabile di reiterazione del reato.

«Una inibizione illegittima, ma che ha distrutto l’azienda», afferma il difensore di Carraro, l’avvocato Domenico Riposati, «facendo segnare la morte civile dell’uomo e dell’imprenditore. A seguito dell’inibizione imposta dal giudice, a Carraro sono stati revocati i conti e bloccate tutte le carte di credito. Per pagare contributi, dipendenti e fornitori, Carraro ha dovuto utilizzare linee di credito di una terza persona, che ovviamente ha voluto garanzie».

Una stima dei danni causati dalle traversie giudiziarie è già stata fatta: «Circa 600 mila euro», dice l’avvocato. E ci sarà la richiesta di risarcimento? «Certo, la stiamo valutando».

Sono quattro i trevigiani coinvolti in questa inchiesta. Oltre a Carraro emergono i nomi di Leonardo Lovo, 46 anni, di Roncade, e di Sadik e Ilir Shala, kosovari residenti a Montebelluna e Trevignano. –

Fabio Poloni

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi