«Caro Michele, non ti giustifico»: un 30enne bellunese risponde alla lettera del precario morto suicida

Matteo Gracis replica alla lettera del 30enne che si è ucciso perché non ce la faceva più a vivere da precario

L'addio di Michele prima di togliersi la vita: "Io, precario, appartengo a una generazione perduta"

BELLUNO. Una lettera aperta che parla ad un'intera generazione, e non solo. Matteo Gracis, 33 anni, ci ha scritto inviandoci una risposta alla lettera di Michele, suicida a 30 anni perché stanco del precariato e di una vita fatta di rifiuti. La pubblichiamo integralmente.

Caro Michele,

scusami ma non ti compatisco. 

E’ chiaro che questa lettera non è per te Michele, bensì per tutti quelli che si sono ritrovati nelle tue parole e sono ancora là fuori, in guerra contro il mondo. Sono tantissimi, lo so bene e stanno vivendo quelli che dovrebbero essere gli anni più belli della loro vita. Credo sia giusto che qualcuno glielo dica.

La tua lettera è colma di dolore, di disagio e rassegnazione. Fatico a comprendere ciò che ti ha portato a un gesto così estremo, nella totale lucidità che hai dimostrato con le tue parole. Ma in parte ti capisco, ho 33 anni e sono veneto quindi non eravamo poi così distanti.


Ma non ti compatisco, né ti giustifico, cosa che invece sembrano fare tutti in questo momento. Abbiamo l’obbligo di riconoscere la preziosità di ogni singolo giorno, senza permettere a niente e nessuno di distrarci da questo obiettivo. Nemmeno all’ostacolo più grande che potremmo mai avere, ovvero un grave problema di salute.

E’ un obbligo che va ad onorare quell’immensa fortuna che abbiamo avuto ad esser nati qui ed ora.

Quando Robinson Crusoe si trovò disperso su quell’isola deserta, nel noto romanzo di Defoe, allo strenuo delle forze e delle sue speranze di sopravvivenza, giunse a un’importante riflessione: “Tutto il nostro malcontento per tutto quello che non abbiamo, mi pareva derivare dalla mancanza di gratitudine per quello che abbiamo.” Ecco cosa manca alla nostra generazione Michele e cos’è mancato a te: la gratitudine. 


Scrivi che da questa realtà non si può pretendere niente e invece ritengo si possa pretendere tutto! Che ci si creda o no, dati alla mano, non c'è mai stato un tempo migliore per vivere. Il problema è che non lo sappiamo, non ne abbiamo la consapevolezza. Ma questa non è una giustificazione. E’ nostro compito scoprirlo. Come? Anche semplicemente mettendosi uno zaino in spalla e andando, dove e come non importa. Ma chiunque di noi può farlo. E scoprirebbe così un mondo incredibile, dalle mille opportunità, dove c’è spazio per tutti… anche per i più sensibili e fragili di noi.

Siamo dove vogliamo essere e facciamo quello che vogliamo fare. Il resto è semplice geografia della scusa.



Sei convinto che il futuro sarà un disastro e forse hai ragione. Ma noi viviamo nel presente e il futuro dipende esclusivamente da noi. Spesso si tratta “solo” di punti di vista.
“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare” ci ha insegnato Seneca. E non è forse vero? 


Mi dispiace ma l’alternativa al soffrire non è smettere, come hai scritto e cercato di dimostrare. Non esiste alternativa alla sofferenza. La sofferenza fa parte del nostro percorso e del percorso di chiunque, è insita nel genere umano. E non possiamo pretendere che ci venga messo a disposizione un mondo senza sofferenza: possiamo invece batterci per cercare di ridurla, o meglio ancora per valorizzarla.



Non vedo né ribellione né anti-conformismo nel tuo gesto: i veri ribelli non si rassegnano mai e i veri anticonformisti si nutrono delle loro battaglie contro l’omologazione. 



Certo, era tuo diritto fare della tua vita ciò che volevi, ma con le tue parole rischi di contaminare centinaia, migliaia di nostri coetanei e questo non è giusto: la tua è stata una follia, anche se hai scritto che avremmo dovuto definirla delusione. E invece no caro Michele, sei stato un folle a gettare via la tua vita a trent’anni, perché stufo, perché deluso, perché arrabbiato. E soprattutto ad imputare al sistema le colpe del tuo disagio. 


Citando un altro grande del passato, Tolstoj, “per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttare via tutto e di nuovo ricominciare e lottare e perdere eternamente.”



Chi sono io per dirtelo? Uno a caso. Sicuramente più fortunato di te, se non altro perché quel bicchiere lo vedo (quasi) sempre mezzo pieno ma quando è oggettivamente vuoto, faccio del mio meglio per riempirlo. E spesso sono turbato, mi batto quotidianamente, sbaglio, ricomincio da capo e butto via tutto e di nuovo ricomincio e lotto e perderò eternamente. Ma so che questo significa vivere con onore. E questo provo a fare. Questo dovremmo provare a fare tutti!

Nemmeno a me questo sistema va a genio, anzi: così un lavoro me lo sono inventato, il sistema lo provo a cambiare nel mio piccolo e ho lottato e lotto per ciò che mi appassiona. Perchè il mondo ha bisogno di persone che hanno scelto di vivere, con passione. 



Pazienza se qualcuno dirà che questa mia risposta è piena di luoghi comuni e frasi fatte. Non cerco il consenso, mi bastava offrire un’altra prospettiva. 



La strumentalizzazione intorno al tuo caso è disgustosa, non intendo spenderci altre parole. 



Ciao Michele, mi dispiace non averti conosciuto prima. Avremmo potuto essere buoni amici.

Matteo Gracis

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