Carte false per fare ottenere i permessi di soggiorno

Sotto inchiesta quattro persone: regolarizzazioni agevolate da un’azienda fantasma. E un’anziana scopre di avere due domestici
Un'aula di tribunale in un'immagine d'archivio.
Un'aula di tribunale in un'immagine d'archivio.

BELLUNO. Inesistente l’azienda, falso il lavoro che offriva, contraffatte le dichiarazioni che inviava alla questura di Belluno per ottenere per i suoi complici extracomunitari il permesso di soggiorno. Valentino Lubrano, un coneglianese, originario di Pozzuoli, classe 1959 (difeso dall’avvocato Andrea Zambon), è finito nel mirino della procura della Repubblica di Belluno in due diversi filoni d’inchiesta che ha come denominatore comune il reato di falso ideologico.

Una prima inchiesta è tuttora in corso e lo vede indagato di falso ideologico ed altri reati connessi all’immigrazione clandestina assieme ad una giovane donna marocchina, Bouchra Bouhajeb, classe 1974, residente ad Alano Di Piave (difesa dall’avvocato Pierangelo Conte). In altre parole, Lubrano, attraverso la sua azienda Work Service con sede a Milano, si faceva pagare una cifra attorno ai 5600 euro per fornire la documentazione falsa all’immigrato che ne richiedeva l’aiuto. Contratti di lavoro fasulli che, però, venivano spacciati per veri dagli immigrati che si presentavano in questura a chiedere il permesso di soggiorno. Nel caso della marocchina di Alano, i falsi documenti attestanti che la donna lavorava per la ditta di Lubrano, cancellata dall’Inps, nel lontano 2004, perché priva di redditi e di dipendenti, servivano per un doppio scopo: il rinnovo del permesso di soggiorno, effettivamente accordato dalla questura di Belluno nel gennaio 2011, ed il rilascio di un visto d’ingresso al marito della falsa dipendente ai fini del ricongiungimento familiare.

Nell’altra inchiesta, terminata con un decreto di citazione diretta a giudizio (la prima udienza è stata fissata per il 9 ottobre prossimo), l’ingegno ha avuto la meglio sui classici sotterfugi. Stando, infatti, all’accusa, Lubrano, nel giro di una settimana, avrebbe inoltrato alla Prefettura di Belluno, due istanze di emersione dal lavoro irregolare di altrettanti marocchini.

Le due distinte richieste di regolarizzazione per ottenere il permesso di soggiorno, portavano in calce il nome e cognome di un’anziana di Alano di Piave, che ovviamente non sapeva di avere assunto, negli anni precedenti, in nero, due domestici marocchini. L’ha scoperto successivamente, quando la Prefettura, l’ha convocata per verificare la regolarità della richiesta.

In questo caso, oltre a Lubrano, sono imputati del reato di tentativo di falso ideologico anche i due marocchini, che volevano ottenere il permesso di soggiorno.

Si tratta di Abdellah Mounfaloti, classe 1984, e Ech Chaib El Bachir, classe 1972 (difeso dall’avvocato Pierluigi Cesa). Per tutti questi servizi, Lubrano, secondo l’accusa, chiedeva agli extracomunitari, alla disperata ricerca di uno straccio di carta che ne regolarizzasse la presenza in Italia, una somma di 5.600 euro per ciascuna pratica fasulla.

Un’attività a vasto raggio, la sua. In provincia di Treviso, le false attestazioni del sedicente datore di lavoro non servivano agli stranieri solamente ai fini di ottenere i permessi di soggiorno. Alcuni di loro, alle prese con la giustizia, presentavano il contratto di lavoro della Work Service per cercare di ottenere misure alternative alla detenzione in carcere.

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