Case di riposo, rette in aumento del 5%
BELLUNO. I sindaci sono costretti ad aumentare le rette delle case di riposo di almeno il 5% (circa 800 euro all’anno in più) per riuscire a far fronte ai tagli imposti dalla Regione con la spending review e dalla mannaia caduta sul fondo per la non autosufficienza.
Un aumento che, come dicono gli stessi primi cittadini, non potrà andare avanti ancora per molto tempo «se non vogliamo vedere le strutture spopolarsi completamente, perché la gente non ha più soldi per pagare rette che rischiano di diventare superiori a quelle di un albergo». Ed è per questo che chiedono a Venezia di ridistribuire i rimborsi sanitari per le case di riposo alle Usl ad oggi sotto parametro (cioè con più posti e meno rimborsi) come quella bellunese e mirano a creare una rete di strutture gestite da una società esterna con controllo pubblico. A proporre queste soluzioni sono il comune di Belluno, insieme a quello di Ponte nelle Alpi, Longarone, Forno di Zoldo e Limana. Ma l’auspicio è che possa estendersi anche ad altre realtà per poter condividere tra tutti gli enti le spese per il sostentamento delle strutture per anziani che oggi sono in capo soltanto agli enti dove queste sono presenti.
Il problema. «Oltre al fatto che i costi di gestione sono aumentati, la Regione ha deciso quest’anno di ridurre anche le risorse a disposizione, tanto che ci siamo trovati con un deficit di 230mila euro che, come sindaci, abbiamo deciso di ripianare riducendo in modo solidale le risorse tra una struttura e l’altra. Questo ripiano però ha una ricaduta sugli stessi Comuni che non sono più in grado di far fronte ad ulteriori spese. E così per rientrare dei soldi, abbiamo dovuto decidere di aumentare le rette», ha spiegato il sindaco Jacopo Massaro.
L’offerta nell’Usl n. 1. A tutto questo si aggiunge anche un’altra questione: la differenza tra posti autorizzati dalla Regione e quelli per cui Venezia ha previsto il rimborso sanitario (impegnativa). «Se non aumenta il fondo per la non autosufficienza sono a rischio i posti per la residenzialità e i centri diurni», precisa Renata Dal Farra, assessore al sociale di Limana e membro della Conferenza dei sindaci. «Alcune strutture stanno aumentando i posti letto, come Ponte nelle Alpi e Limana, per rispondere alle esigenze del territorio, ma i rimborsi sanitari non sono stati ancora autorizzati e questo ci ha costretto a recuperare le risorse riducendoci il valore dei rimborsi stessi. L’alternativa era bloccare l’entrata degli ospiti, facendo pagare quindi la retta piena che va dai 2700 ai 3000 euro al mese. Abbiamo inoltre pensato», dice Dal Farra, «di intervenire sui centri diurni prevedendo un rimborso soltanto per 220 giornate all’anno, vale a dire che su sei giorni vengono rimborsati soltanto cinque. Il fatto è che la nostra Usl per quanto riguarda i posti letto è sotto parametro cioè abbiamo più posti di quanti godono del rimborso sanitario regionale, mentre per altre Usl è il contrario. Per cui chiediamo che vengano ridistribuite le risorse che già ci sono in base ai numeri effettivi».
Per l’assessore pontalpino Paolo Vendramini, sarebbe necessario «sganciare il patto di stabilità sul sociale anche perché l’Usl intende demandare questo settore interamente ai Comuni che non hanno più soldi. A Ponte, per esempio, per il trasporto a chiamata abbiamo dovuto inserire il pagamento di due ore altrimenti non ce la facevamo a tenerlo».
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