Caso Di Loreto, l’indagine è da rifare
BELLUNO. Tutto da rifare nel caso Di Loreto. Si è concluso con un’ordinanza del giudice Domenico Riposati il processo a carico del primario di Nefrologia dell’ospedale San Martino di Belluno, accusato di stalking, lesioni personali e violenza privata ai danni di una collega. Secondo il giudice, quanto emerso durante il dibattimento ha messo in evidenza un fatto diverso da quello descritto nel capo di imputazione e quindi il delitto attribuito al nefrologo Pierluigi Di Loreto va riqualificato. Nelle loro testimonianze, infatti, le infermiere e gli altri medici del reparto diretto da Di Loreto (difeso dall’avvocato Gianni Morrone) hanno segnalato di aver subito comportamenti del tutto analoghi a quelli denunciati dalla parte civile (assistita dall’avvocato Giorgio Morales, che ieri ha chiesto un risarcimento di 68 mila euro, dopo i 40 mila già assegnati dal giudice civile nella causa contro l’Usl 1).
Inoltre non si può ignorare che l’imputato è un primario ospedaliero, cioè un pubblico ufficiale, ed è sospettato di aver violato le norme che impongono ai funzionari pubblici di non usare il loro potere per nuocere intenzionalmente a terzi. L’ipotesi di reato avanzata dal giudice è dunque quella dell’abuso d’ufficio, che va giudicato dal tribunale riunito in formazione collegiale. Il giudice Riposati ha quindi ordinato la trasmissione degli atti al pubblico ministero perché indaghi sull’abuso d’ufficio e poi chieda (l’eventuale) rinvio a giudizio in udienza preliminare.
Il caso era nato in seguito alle nove denunce presentate dalla dottoressa, per le vessazioni, le persecuzioni e le denigrazioni volontarie messe in atto dal primario tra la fine del 2011 e il 2013. Il pregiudizio di Di Loreto verso la collega nasceva da alcuni problemi di salute della donna, conclusi però diversi anni prima ed è naturale che le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Roberta Gallego si siano concentrate sui fatti segnalati dalla parte offesa. Durante il processo, però, è emerso di più e lo stesso pm Gallego (che ieri ha chiesto la condanna a due anni) di recente aveva aperto un supplemento di indagine, con l’acquisizione di ulteriori atti.
Ora la procura dovrà indagare sul comportamento di Di Loreto in generale, cioè nei confronti di tutto lo staff del reparto di nefrologia, che dirige dal luglio 2011 ininterrottamente visto che la richiesta di una misura cautelare, avanzata dal pm, era stata respinta.
Nella lunga udienza di ieri, iniziata alle 9 e conclusa alle 17 con la lettura dell’ordinanza del giudice, sono stati ascoltati gli ultimi testimoni della difesa ripercorrendo le circostanze dei fatti contestati: dai continui richiami scritti, alle ferie negate, passando per sfuriate a mille decibel con la dottoressa costretta in una stanza chiusa e a subire umiliazioni anche davanti ai pazienti.
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